Il difficile viaggio di Obama in Asia

All’incontro annuale dell’Apec è stato siglato un accordo sul clima tra Usa e Cina. Ma tanti altri sono i dossier sul tavolo
Apec

Un viaggio asiatico non certo iniziato nella gloria e nel trionfo, quello di Barack Obama, partito dalla Casa Bianca dopo la perdita della maggioranza al Senato nelle elezioni di metà termine. Obama non aveva potuto partecipare all’incontro Apec (Asia Pacific economic cooperation), a Bali nel 2013, in seguito alla chiusura degli uffici governativi dal 1° al 16 ottobre 2013 a causa della mancata approvazione del bilancio fiscale per il 2014. Una brutta figura di fronte a tutti i potenti membri dell’Apec, i cui membri rappresentano il 40 per cento della popolazione mondiale; il segretario di Stato John Kerry vi aveva partecipato a nome del Presidente, ma per gli altri membri, abituati a “metterci la faccia” non era stata la stessa cosa.  

L’Apec, istituito 25 anni fa, rappresenta il 55 per cento del Pil mondiale e ne fanno parte 21 Paesi: Australia, Brunei, Canada, Cina, Cile, Corea del Sud, Filippine, Giappone, Hong Kong, Indonesia, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Papua Nuova Guinea, Perù, Russia, Singapore, Taiwan, Thailandia, Stati Uniti, Vietnam. Il tema dell’incontro Apec 2014 è stato “Forgiare il futuro attraverso l'Asia-Pacific Partnership”, articolato in tre punti prioritari di discussione: far avanzare l'integrazione economica regionale; promuovere uno sviluppo innovativo, riforme economiche e crescita; rafforzare la connettività e lo sviluppo infrastrutturale. In programma ci sono stati anche importanti incontri bilaterali (del premier giapponese Abe con il presidente russo Putin e con quello cinese Xi Jinping).

Il nodo cruciale, di cui si è poco parlato sui media occidentali, è stato che la Cina spinge perché si pongano le basi per la costituzione di una Ftaap (Free trade area of the Asia Pacific), una zona di libero scambio commerciale tra i membri dell'Apec, che permetterebbe uno sviluppo almeno in parte svincolato dall’asse economico occidentale. Gli Usa, in passato principali promotori del processo di liberalizzazione in ambito Apec, ora frenano perché sono concentrati sui negoziati di liberalizzazione totale della Trans-Pacific Partnership (Tpp), che coinvolge solo 12 Paesi (Usa, Giappone, Australia, Perù, Cile, Messico, Canada, Vietnam, Malaysia, Brunei, Nuova Zelanda, Singapore).

Le trattative tra i membri sono decisamente in fase di stallo, soprattutto per le resistenze del Giappone a liberalizzare la sua politica agricola. La Cina propone una più ampia area di libero scambio per tutta la regione in cui poter essere protagonista; e anche i Paesi asiatici non vedono di buon occhio un accordo che escluda l’economia cinese, la più grande del pianeta. Questo perché la percezione che si ha in Asia della Cina è ben diversa da quella occidentale: i Paesi della regione vogliono che la Cina sia inclusa in un accordo commerciale, anche perché gli uomini d’affari dei Paesi asiatici sono tutti, più o meno, di “sangue” cinese e la cultura asiatica si basa sull’inclusione e non sull’esclusione.

Quest’incontro, dal 10 all’11 Novembre nella capitale della China, per Obama ha sortito un buon effetto per l’accordo raggiunto sul clima tra Cina e Usa che come si sa sono le due maggiori economie del mondo e i maggiori inquinatori del pianeta, portato avanti da mesi di trattative e firmato, finalmente, dal presidente americano e dal collega cinese Xi Jinping per ridurre le emissioni dei gas serra. Il mondo ha esultato alla notizia che i due maggiori inquinatori del pianeta si siano messi al tavolo insieme, ma l’accordo riguarda solo un impegno da parte della Cina di fermare la crescita dell’emissione dei gas serra entro il 2030 (perciò avremo ancora 16 anni di crescita) e da parte loro gli Stati Uniti si sono impegnati per la riduzione del 26-28 per cento delle emissioni entro il 2025. Speriamo, come alcuni analisti hanno sottolineato, che quest’accordo possa stimolare anche un nuovo accordo globale sul clima nel 2015, a livello mondiale.

L’Apec 2014 a Pechino è stato sicuramente un incontro importante anche per gli altri leader della regione, tra cui il primo ministro thailandese gen. Prayut Chan-ocha che ha chiesto tempo e comprensione da parte di tutti i leader dell’Apec per il colpo di stato del 22 Maggio scorso ed ha promesso che, appena possibile, la Thailandia ritornerà ad un sistema democratico.

Ora molti dei leaders dell’Apec si sono spostati a Naypyidaw, capitale del Myanmar, per l’incontro dell’Asean. Si attende anche Obama nei prossimi giorni. Incontrerà i leader dell’Asean ed anche, a Yangoon, Aung San Suu Kyi. È un segnale chiaro e forte: l’Occidente vuole che la premio Nobel per la pace 1991, eroina della rivoluzione in Myanmar, abbia la possibilità legale di diventare la prossima presidente, cosa che le è negata dall’attuale Costituzione. Questa appare l’unica vera possibilità di portare una pace duratura in Myanmar, con le sue decine di etnie da sempre in conflitto.

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