Il dialogo trent’anni dopo

La preghiera per la pace è diventata una preoccupazione universale e tutte le religioni sono impegnate a lavorare in questa direzione. Oggi la presenza di papa Francesco conclude la tre giorni
Assisi

Girando per le strade di Assisi in questi giorni non si può non pensare all’ottobre 1986. In quei giorni senza dubbio i controlli ed i dispiegamenti di forze dell’ordine non erano così massicci e capillari come oggi. Per entrare ai vari convegni organizzati in occasione della celebrazione di questo trentennale è necessario essere registrato ed avere il cartellino ben visibile e, alla fine, tutto viene controllato: sia la persona che le sue borse o zainetti. Ma la differenza non la fanno né la sicurezza né il clima – impietoso ieri e senz’altro clemente oggi – che domani si preannuncia soleggiato a fronte del vento gelido di quella giornata di autunno ormai lontana.

 

Quello che impressiona è il numero di partecipanti fra persone di altre Chiese cristiane e di altre religioni con presenza di rappresentanti di coloro che non hanno un riferimento religioso preciso. Allora, nel 1986, per quella che molti ritenevano una novità inaudita, contrastata anche nella Curia romana, erano poco più di centro i partecipanti di altre tradizioni. Oggi superano abbondantemente i 500 e rappresentano un vero spaccato della varietà dei modi di credere presenti oggi sulla faccia del nostro pianeta. E’ bene osservare che non si tratta solo di leaders religiosi – ebrei, cattolici e cristiani di altre denominazioni e musulmani, e poi indù, buddhisti, giainisti, zoroastriani, sikhs, seguaci della Tenri-kyo, una delle nuove forme di religiosità giapponese – ma anche di uomini e donne della cultura e rappresentanti della politica nazionale ed internazionale.

 

Due le chiavi di lettura di questo fenomeno. Innanzi tutto, la preghiera per la pace è diventata una preoccupazione universale e tutte le religioni sono impegnate a lavorare in questa direzione. Assisi 1986, poi, aveva messo da subito in moto un entusiasmo contagioso di organizzare in diversi angoli del mondo momenti di riflessione e preghiera su e per il dialogo. Sono, quindi, cresciuti i rapporti e si sono moltiplicati i contatti con una sempre crescente intensità nei net-work. In secondo luogo, negli ultimi anni, la religione o meglio le religioni sono diventate sempre più protagoniste sulla scena pubblica. E questo è vero anche per l’occidente dove alla fine degli anni Settanta nessuno avrebbe scommesso sulla religione, ormai sempre più relegata alla sfera privata personale. Oggi, invece, spesso grazie ai fondamentalismi e ad atti terroristici le fedi sembrano avere qualcosa da dire di molto importante ai loro fedeli e, quindi, vengono percepite come potenziali partners per accordi politici, sociali e soluzione di problemi a livello internazionale.

 

I risultati di questo processo sono visibili in questi giorni. Rappresentanti di governi e di istituzioni, sia italiane che estere, sono presenti ad Assisi dove, nelle diverse tavole rotonde, si è cercato di approfondire temi scottanti come migrazioni e integrazione, fondamentalismi e convivenze fra le diverse anime dell’Islam, la possibilità di convivere nonostante differenze di credo e a livello di società, la tutela dell’ambiente e la convivenza fra arabi ed ebrei in Israele, come pure la complessità della situazione dei Paesi africani ed il rapporto fra le Chiese del medio Oriente fra loro e con l’Islam.

 

Grande partecipazione di popolo anche nell’attesa che il papa possa incontrare persone di una fede diversa, che, tuttavia, vedono in lui un modello ed un punto di riferimento. L’attesa è grande. Lo dicono i numeri della Sala Stampa: più di 600 giornalisti accreditati, troupe televisive al completo. Nell’albergo dove ho cenato stasera tutti tavoli erano occupati da giornalisti o troupe televisive o radiofoniche. Se Benedetto XVI, animando con la sua presenza il venticinquesimo dell’evento nel 2011, si era messo sulla linea tracciata da Giovanni Paolo II nel 1986, papa Francesco dimostra con la sua presenza e coi momenti che desidera vivere con persone di altre fedi, quanto la cultura del dialogo gli stia a cuore. Tutti lo aspettano e, a prescindere dall’appartenenza religiosa o dal ruolo, politico, sociale o di semplice cittadino credente o meno, c’è la coscienza che dalle sue parole verrà una linea per un futuro dell’incontro fatto di dialogo e comprensione reciproca.

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