Il custode dell’acqua

Franco Scaglia, genovese, noto giornalista e autore di alcuni saggi e romanzi tra i quali La decima sinfonia e Margherita vuole il regno, ha vinto con Il custode dell’acqua (Piemme) il Premio Campiello 2002, sconvolgendo i pronostici che accreditavano vincitore Nico Orengo con La curva del latte. La giuria dei lettori ha premiato un libro originale e decisamente nuovo nel campo della narrativa italiana, una sorta di ricostruzione storico-fantastica di alcune vicende che hanno interessato in questi ultimi anni i servizi segreti israeliani nel conflitto con i palestinesi. Ingiustamente il libro viene presentato come “una spy story”, in quanto il romanzo, pur avendo alcuni passaggi misteriosi e inquietanti che lasciano pensare ad un avventura di spionaggio, è la rappresentazione emblematica di un conflitto la cui soluzione sembra impossibile. “Gerusalemme vuol dire città della pace, ma non c’è luogo della Terra dove la pace sia più minacciata “: è questa frase che più di ogni altra esprime il contenuto del romanzo nelle cui pagine si sente il grande amore per questa terra che l’autore ha visitato varie volte, conservando uno stretto rapporto con i padri francescani, rimasti a testimoniare, spesso nella più assoluta solitudine e incomprensione, una volontà di pace nell’accettazione delle diversità, del rispetto di ogni cultura, di ogni popolo. Franco Scaglia ha respirato per anni la violenza omicida dei due popoli in lotta, ha incontrato personaggi che hanno pagato con la vita la volontà di fraternità tra israeliani e palestinesi. Il suo romanzo nasce dal dolore per questa terra che potrebbe essere il simbolo universale di una pacifica convivenza tra le più grandi religioni e che invece continua ad essere centro di intrighi, di morte, di vita innocente maltrattata. Su questo vissuto, la fantasia di Scaglia, attraverso un linguaggio asciutto e moderno che non indulge all’oleografia, ben calibrato nei vari quadri realistici di cui si compone il libro, opera uno scatto in avanti per restituire a questo piccolo ma tenace gruppo di francescani presenti in Terra Santa quel ruolo che fu di Francesco d’Assisi. “Da queste parti tutti, anche noi francescani siamo nati in mezzo al sangue dei conflitti. A volte sembra che non avremmo neppure un’identità senza un nemico in cui riflettere le ragioni della nostra esistenza. E nei capi dell’una e dell’altra parte, quando si avverano le loro profezie di sventura, si avverte una sorta di compiacimento. È come se i Cugini del Muro (gli israeliani, n.d.r.) e gli Amici della Roccia (i palestinesi, n.d.r.) avessero accettato l’aberrazione imposta loro dalla storia, rinunciando a desiderare un futuro migliore: ebbene bisogna dire chiaro che esiste una speranza. Quello che non fanno i capi, lo può fare la gente comune. È la sola alternativa all’odio e alla disperazione a cui stiamo abituandoci”. Riusciranno i francescani ad essere custodi di questa speranza, metaforicamente espressa da quelle sorgenti d’acqua nascoste nel sottosuolo e da cui dipende la vita dei due popoli? L’avventurosa e incalzante storia di Scaglia sembra guardare al futuro positivamente nonostante la morte e l’aberrazione di oggi.

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