Il cosiddetto imam arrestato

Il caso dell'invasato conferma che i seguaci del Califfato qui da noi sono solo cani sciolti, che nascono magari nelle carceri. Altra cosa sono le vere moschee, regolate secondo i criteri del "patto" siglato a Torino e Firenze, che aiutano la sicurezza sociale nel nostro Paese
Musulmani in un locale adibito a moschea

Grande risalto sui media all'arresto di un sedicente imam che voleva farsi esplodere a Roma. In realtà si tratta di un giovane migrante somalo, tal A.M.A., che in un centro di accoglienza di Campobasso aveva cominciato a dirigere la preghiera di alcune decine di immigrati come lui, scalando un altro imam con la sua eloquenza. Più volte aveva inneggiato a Daesh e al jihad contro gli infedeli cristiani, suscitando l'attenzione di tutti coloro che frequentavano il centro "Happy family".

 

Scusate, ma si tratta di un "povero cristo" invasato che tra l'altro non aveva il minimo senso della riservatezza richiesta per tal tipo di attività. Era un imam temporaneo più autoelettosi che altro. Il che conferma, se ce ne fosse bisogno, che i seguaci del Califfato sono qui da noi in massima parte dei "cani sciolti".

 

Altra cosa sono le vere moschee. Che dovrebbero essere regolate secondo i criteri del "patto" siglato tra musulmani e municipalità a Firenze e Torino. Il terrorismo non nasce nelle moschee di casa nostra ma nei luoghi nascosti, nelle carceri, casomai in certi centri di transito… Lo dicono coloro che lavorano nelle carceri: dirigenti, magistrati, cappellani (anche musulmani). Costruire moschee là dove c'è una comunità islamica cospicua non solo è attuazione della Costituzione ma operazione di sicurezza sociale. Con imam veri, non come il ragazzotto somalo arrestato ieri.

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