Il coraggio di Giustina

La lotta fino all'ultimo respiro di una madre per il figlio affetto da una rara malattia degenerativa.
Il coraggio di Giustina

«Ho conosciuto poco Gianni, poco e superficialmente, nel bar c’è sempre poco tempo da dedicare agli altri e anche a sé stessi. Però ho un ricordo nitido di Gianni e della madre che l’accompagnava. Quando li vedevi arrivare, una cosa non mancava mai di colpirti: il sorriso. Quello di lei triste ma coraggioso, forte, quasi una sfida. Quello di lui storto, non bello, ma che riusciva ad illuminarlo tutto. Un giorno, sulla sua inseparabile carrozzella, cercava di far capire alla madre che voleva essere spostato più al sole e quando lei lo spostò, chiuse gli occhi felice che quel raggio di sole lo baciasse, mentre due lacrimoni gli rigavano il viso. Chissà che pensava quel ragazzo schivo, a volte burbero, così tanto colpito dalla sorte! E a volte aveva un modo strano, tutto suo, di rannicchiarsi su sé stesso, quasi volesse nascondersi alle occhiate compassionevoli della gente che li circondava. Che destino crudele il tuo. E neanche la speranza di un domani migliore. Forse solo lassù riuscirai a correre tra le nuvole aprendoti al sole, con quel tuo sorriso, ma che ti illuminava tutto».

 

Dobbiamo questo commosso ritratto di Gianni e di mamma Giustina a Grazia, «la signorina del bar Scarpanto al mercato di Valmelaina», come si firma. Vivono, i Meazzini, nel quartiere romano di Monte Sacro, ma papà Urbano e sua moglie Giustina, che oltre a Gianni hanno un altro figlio di due anni maggiore, Giulio, sono originari della Toscana.

È Gianni a tenerli in ansia, quel figlio che fin da piccolo manifesta difficoltà nei movimenti, come scrivere o prendere un bicchiere, che accusa spasmi e dolori alle gambe specialmente di notte e poi problemi di equilibrio, per cui crescendo deve camminare sottobraccio a qualcuno per non cadere e, in seguito, man mano che la malattia inesorabilmente progredisce, ricorrere ad una carrozzella. Quel figlio, infine, che negli ultimi anni perderà progressivamente vista, udito e parola, ma non la lucidità dei suoi “perché”. Fino alla morte nel 2004, a 47 anni.

 

Perché tanta sofferenza? Di che malattia si tratta? È possibile trovare una terapia che blocchi almeno un po’ il processo degenerativo? È l’assillo quotidiano dei genitori di Gianni, poi solo di Giustina, una volta divenuta vedova.

L’annuncio che si tratta di una rara malattia muscolare, forse il morbo di Friedraich, incurabile, non smonta questa mamma la cui fede talvolta avrà il timbro di una lotta corpo a corpo con quel Dio che ha disegni misteriosi sulla sua creatura. E per amore di Gianni – assieme allo sfinimento per le centinaia e centinaia di visite mediche e al peso della propria umanità nei momenti di esasperazione – affronterà di volta in volta l’ignoranza di chi non è in grado di proporre una soluzione adeguata al suo problema, o dimostra poca sensibilità o una pietà ancora più urtante; senza arrendersi di fronte all’ennesimo scacco, sempre col modo diretto e talvolta brusco con cui esige da sé e dagli altri onestà e chiarezza.

La vedova del Vangelo ottiene giustizia, premio alla sua insistenza, e Giustina non è da meno nel pretendere una vita dignitosa per quel figlio dalla sensibilità e intelletto non comuni, tanto da riuscire, pur nelle sue condizioni, a laurearsi in giurisprudenza col massimo dei voti: lei lo ha messo al mondo non solo una volta, ma lo sta generando, giorno dopo giorno, lungo tutti i tremendi e meravigliosi anni che gli sarà dato vivere.

Meravigliosi perché alla fin fine sarà spremuto tutto l’amore possibile sia dai Meazzini che da tanti altri, partecipi della loro vicenda con un sorriso, con l’affetto, con l’aiuto concreto nelle difficoltà di ogni giorno. Ancora una volta il mistero della sofferenza presente sotto tante forme in questo nostro mondo trova senso in quanto fa sprigionare dal cuore dell’uomo l’amore, che è sempre creativo.

Di mamme capaci di assistere eroicamente figli affetti da malattie gravi e invalidanti annullando sé stesse ce ne sono, per fortuna, in numero sterminato. In più Giustina tiene un diario puntuale di tutta la vicenda: è per ricordare dettagli utili per venire a capo della malattia che sta distruggendo il suo secondogenito, per essere d’aiuto ad altri genitori nelle sue condizioni, ma anche per avere un muto interlocutore con cui sfogare la sua disperazione e confidare le sue speranze.

Sono agende e agende che registrano appunti, sfoghi, speranze, perché, fallimenti per porte che si chiudono, ma anche aiuti concreti di chi vuol condividere. Sempre, infatti, sulla strada del Calvario s’incontra qualche cireneo che non si sostituisce a te sulla croce ma ti aiuta a portarla per un tratto.

Da queste agende, ora conservate a Pieve Santo Stefano in Toscana, presso il Museo del Diario, è stato anche tratto un libro appena edito da Città Nuova: Suo figlio non ha niente, lei è pazza! Diario di una madre. Una testimonianza forte, che appassiona e scuote al tempo stesso.

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