Il comunicato di Rodi

Concluso il Secondo Forum Cattolico-Ortodosso con un documento comune sulle Relazioni Chiesta-Stato.  
Rodi

Cattolici e ortodossi desiderano «partecipare più attivamente ai dibattiti etici e morali che impegnano il futuro della società» perché «i nostri paesi d’Europa non possono recidere le loro radici cristiane senza distruggersi» e «le sfide etiche sono determinanti per il nostro futuro in un mondo globalizzato». È un comunicato “appassionato” quello diffuso venerdì 22 ottobre da Rodi al termine Secondo Forum Cattolico-Ortodosso che ha riunito, sull’isola, 17 delegati del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa della Chiesa Cattolica e 17 rappresentanti delle Chiese Ortodosse in Europa. Il comunicato è frutto di quattro giorni di intenso lavoro e confronto su un tema caro alle Chiese europee e cioè alle Relazioni Chiesa-Stato.

 

Il Forum è un’esperienza di incontro tra i rappresentanti delle Chiese e di confronto su temi d’attualità. L’incontro di Rodi è il secondo di questo genere dopo l’esperienza positiva del Primo Forum Cattolico-Ortodosso che si svolse a Trento, nel 2008, sul tema della famiglia definita come«un bene per l’umanità». È un’iniziativa che non sostituisce la Commissione mista internazionale di Dialogo Teologico, perché non ha per scopo la ricerca teologica, ma l’obiettivo di contribuire ad identificare posizioni comuni su alcune questioni che interpellano le società europee.

 

«Partecipando a questi scambi – scrivono i partecipanti – abbiamo potuto renderci conto di quanto le nostre rispettive dottrine morali e sociali siano vicine». Il comunicato è lungo e complesso – 4 pagine fitte divise in 10 paragrafi – segno di un dibattito serrato, impegnato, forse non sempre facile. Alla fine, però i partecipanti parlano di «un clima di fraternità e di ascolto». Di rapporti di «reciproca stima».

 

Nel comunicato di Rodi, le Chiese esprimono il desiderio di far sentire in Europa la loro voce, in particolare sulle questioni legate alla vita, alla famiglia fondata sul matrimonio. Invocano un’azione comune a sostegno delle persone emarginate, dei migranti, della protezione dell’identità culturale e linguistica delle nazioni europee. Si parla dell’articolo 17 del Trattato di Lisbona in cui l’Unione Europea si impegna a mantenere con le Chiese un dialogo aperto e trasparente. Si chiede che non venga mai fatta «nessuna discriminazione giuridica» per le Chiese e i membri di gruppi religiosi che sono minoritari in un Paese. Insomma, le Chiese vogliono sottolineare che, sebbene in Europa la separazione tra Chiesa e Stato è non solo legittima, ma è per fortuna anche il sistema più diffuso, questa separazione però va intesa come «distinzione dei campi politico e religioso, e non nel senso di un’ignoranza reciproca».

 

Da qui una serie di appelli. Il primo si rivolge «ai cittadini dei nostri paesi affinché siano attenti al pericolo che rappresenterebbe una società secolarizzata senza punti di riferimento morali e senza un progetto degno della persona umana». Il secondo richiama i membri stessi delle Chiese perché «si impegnino, per quanto possibile, a tutti i livelli della vita sociale, affinché la visione cristiana dell’uomo e della società umana continuino ad ispirare i comportamenti delle persone e le scelte dei legislatori». Il terzo chiede ai rispettivi governi ed ai responsabili della vita politica di impegnarsi con decisione «per il bene comune di tutti i cittadini, contribuendo così al consolidamento della coesione civile e dando ai nostri popoli delle ragioni di speranza per il loro futuro».

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