Igino e la sua città, tra pace e guerra

Presentato nella sede della Provincia di Roma il libro Igino Giordani e la sua Tivoli. Una lettura quanto mai attuale
igino giordani

Strategie elettorali che tengono conto di rancori personali. Lotte intestine ai partiti e ideali che rischiano di impallidire davanti ai "capobastone" e ai funzionari centrali che arrivano a imporre la linea ai militanti locali. Prima ancora che sugli scenari geopolitici, la durezza della politica si sconta a partire dai singoli Comuni, dalla fatica di riannodare rapporti per uscire da prospettive localistiche dove il bacino dei voti personali rischia di diventare prevalente su tutto. Insolita questa prospettiva in cui collocare l’esperienza di Igino Giordani.

L’incontro del 22 marzo nella sede della Provincia di Roma, infatti, è partito dal famoso discorso alla Camera del 1949 sull’adesione al Patto atlantico da parte dell’Italia in un clima che non era quello di un convegno, ma di scontro vicino alla necessità di impugnare le rivoltelle, come ricorda lo stesso Giordani in un filmato storico trasmesso per l’occasione, dove appare davanti ad una platea di giovani di diverse nazionalità. L’immagine è quella di un uomo avanti nell’età, ma giocoso e felice. Quell’intervento in Parlamento, nato da un rapporto di peso tra un gruppo di deputati "amici del focolare", che si conclude con vivi applausi e consensi, come riportano i verbali ufficiali, attinge alle radici di un’umanità da liberare dalla paura e dal manicheismo ideologico. Parla con la
ragionevolezza dei padri della Chiesa che Giordani aveva tanto studiato e che, nella sua testimonianza, confessa di aver ritrovato vivi e incontrabili nell’esperienza di Chiara Lubich e di quel gruppo di giovani venuti da Trento. Credeva fossero degli esaltati, come tanti dopo la guerra, e invece…

Con questa premessa si può comprendere il libro su Igino Giordani e la sua Tivoli introdotto da una presentazione della sociologa Marina Russo nell’incontro a palazzo Valentini, alla presenza di Marco Vincenzi e Ugo Onorati, due ex sindaci di Tivoli e Marino e ora, rispettivamente, assessore e consigliere provinciale. Si tratta della cronaca istruttiva di una tornata elettorale locale, quella del 1957, in cui nella città alle porte di Roma, ma non facilmente collegata allora, si consuma la tipica situazione di stallo del sistema elettivo proporzionale con una maggioranza che non si riesce ad esprimere sommando in maniera utile i vari eletti in consiglio comunale. Il partito comunista, storicamente radicato e prevalente in un contesto industriale con i duemila operai della fabbrica Pirelli e il distretto cartario, sconta il trauma della repressione sovietica in Ungheria. Un suo segretario di sezione, ad esempio, passa direttamente alla Democrazia cristiana e sembrano maturi i tempi per uno sganciamento del partito socialista verso un accordo di centrosinistra.

Tipica città della provincia romana, Tivoli, vedeva inoltre la presenza di una tradizione risorgimentale anticlericale incarnata nel partito repubblicano e nella sua componente proveniente dal partito d’azione che esprimerà il primo sindaco dopo la Liberazione, mentre un giovane segretariodemocristiano, proveniente dalla Fuci, dovrà scontrarsi prima di tutto con parte del clero locale e del suo stesso partito per cercare di avvicinare il consenso delle classi popolari e proporre come sindaco una figura nobile della tradizione del cattolicesimo politico e sociale come il tiburtino Igino Giordani, ormai ex deputato ed ex direttore de Il Popolo, noto per un antifascismo radicale e non improvvisato e che, proprio per questa autorevolezza, si era adoperato per impedire lo spargimento di sangue delle esecuzioni sommarie dopo la fine del regime.

Un personaggio di grande cultura. Mite, ma determinato, che non aveva avuto timore di esprimere, consapevole di mettere in pericolo la propria rielezione, una posizione scomoda contro la corsa agli armamenti e la logica della divisione nei due blocchi imposta dalla "guerra fredda". Il saggio di Lo Presti, politologo e direttore centro internazionale Igino Giordani, aiuta a contestualizzare e comprendere questa originale scelta politica a favore della pace non riducibile al neutralismo, il suo radicamento in una visione cristiana dell’uomo per cui la guerra «non è nella natura umana, piuttosto è nella logica delle oligarchie siderurgiche, bancarie e militaristiche». In conformità, potremmo notare, con le tesi sull’eliminazione dell’istituto della guerra, avanzate da Luigi Sturzo nel ’29 nel trattato su La Comunità internazionale e il diritto di guerra.

Una centralità del ruolo delle istituzioni sovranazionali, il disarmo universale, l’abolizione del segreto sui trattati, che apparteneva, assieme all’uguaglianza del lavoro, a quell’appello "ai liberi e forti" del 1919 da parte del Partito popolare che aveva infiammato un giovane Giordani reduce, segnato nella carne e nello spirito, dalla tragedia della prima guerra mondiale.

Alla fine, la vicenda narrata da Giorgi si conclude con l’impossibilità di arrivare all’elezione di Giordani per un esito concorde di strategie opposte, che solo chi ha fatto politica diretta conosce bene, non risparmiando ad uno dei padri della Repubblica, che si era esposto solo per spirito di servizio, attacchi ingenerosi e immotivati mentre lo scioglimento del consiglio comunale appena eletto riconsegnerà l’amministrazione della città ad un commissario prefettizio di nomina governativa fino al 1960. Gli anni che saranno cruciali per l’assetto del territorio e gli investimenti legati alle Olimpiadi di Roma.

Ma non si tratta ovviamente di narrare solo un’occasione perduta di sana amministrazione in un comune emblematico, vicino la Capitale, che vide una campagna elettorale locale molto accesa con l’intervento di personaggi quali Ingrao, La Malfa e Almirante. Giordani, non diversamente da un La Pira, richiedeva, infatti, una profonda condivisione di obiettivi senza remore e compromessi. Un esponente politico del posto, in una dichiarazione recente riportata nel testo, significativamente afferma «volava sempre alto e non tutti riuscirono a capirlo allora. Non perché parlasse difficile, ma perché riusciva a vedere le cose da una prospettiva che molti non riuscivano a comprendere. Siamo tutti fratelli amava ricordare».

Probabilmente la fine di questa ultima vicenda politica di Giordani può essere letta in una visione provvidenziale, che lo ha visto consegnato ad una missione di crescita di un movimento a carattere planetario adeguato alla sua grandezza di animo. Ma evidentemente, come avviene nella vicenda di ognuno, tra la straordinaria semina nel mondo degli ideali di fraternità in
politica avvenuti grazie a Giordani e questa città molto amata esiste un legame che, dopo oltre cinquant’anni da quegli eventi, può riemergere.

Forse ora la prospettiva è cambiata. Da dieci anni esiste a Tivoli un premio nazionale intitolato ad Igino Giordani. I temi sono stati sempre molto attuali e saranno l’occasione per attingere ad un tesoro rimasto finora nascosto. Il personaggio rimane segno di contraddizione. Proprio per il «parlare semplice», quello appreso dalla sua famiglia intrisa di quella dignità e saggezza popolare di cui è rimasto figlio.

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