I rivoltosi di Cagliari

Vivono in un centro d’accoglienza poco sicuro e inadatto a permanenze prolungate. Mancano programmi di accoglienza efficaci soprattutto per chi viene da Paesi in guerra
Immigrati in cerca di soggiorno

Aeroporto chiuso per due ore, quattro voli cancellati in arrivo e sette in partenza, altri quattro voli in arrivo dirottati, uno a Olbia e tre ad Alghero, undici immigrati arrestati, due feriti finiti in ospedali, il centro di prima accoglienza semidistrutto. È il bilancio di un pomeriggio ad alta tensione nella zona dello scalo di Elmas, alle porte di Cagliari.

 

La cronaca è nota: un centinaio di immigrati ospiti del Centro di Prima Accoglienza (CPA), dà vita alla terza protesta in meno di dieci giorni, per il ventilato trasferimento di alcuni compagni in altri centri italiani. Seguono tentativi di fuga, blocco delle piste, scontri e feriti, infine il carcere. I passeggeri dei voli, rimasti bloccati per qualche ora e qualcuno per la notte, hanno poi ripreso il viaggio. Fin qui i fatti, ma quanto accaduto ieri non è una novità.

 

Già l’1 ed il 5 ottobre scorsi, gli immigrati del CPA avevano dato segni di nervosismo, con danneggiamenti alla struttura. Gli arrivi di fine settembre aveva portato ad un centinaio gli immigrati ospitati, quasi tutti giovani, provenienti dal Magreb, e partiti dal porto di Annaba, in Algeria, da dove, con una notte di navigazione si arriva nella parte sud occidentale della costa sarda, da Sant’Antioco a Domus de Maria, una rotta oramai conosciuta e praticata. Dopo lo sbarco gli immigrati vengono presi in consegna dalle forze dell’ordine e accompagnati ad Elmas, in una palazzina ristrutturata e aperta due anni fa, dopo che il flusso di migranti era diventato continuo.

 

In realtà i sindacati di polizia avevano espresso dubbi sulla sicurezza del centro a due passi dall’aeroporto: il compito di quel CPA dovrebbe essere solo quello di accogliere per pochi giorni gli immigrati giunti sull’isola, prima del loro trasferimento nella Penisola. In verità la permanenza per molti è spesso diventata di mesi, come ad esempio un gruppo di somali richiedenti asilo, rimasti al centro oltre tre mesi, in una struttura priva di spazi adatti per permanenze così prolungate. Facile intuire quindi come le giornate per gli ospiti siano infinte, senza grandi attività, e dunque più facile che si inneschino tensioni e voglia di fuga.

 

La rivolta è poi arrivata a pochi giorni dal cambio di gestione del centro: dal primo ottobre è subentrata un’altra azienda, i cui lavoratori hanno necessità di dover “prendere le misure” alla nuova realtà loro affidata. Di certo i flussi di migranti verso la Sardegna non cesseranno, se non nei prossimi mesi, per l’arrivo dell’inverno. Ciò che però molti auspicano è che il centro di Elmas sia davvero un luogo di permanenza temporaneo, massimo 4- 5 giorni: solo così si potranno evitare situazioni di tensione che possono sfociare in rivolte come quella di ieri pomeriggio, anche se si profila all’orizzonte un trasferimento da quella palazzina limitrofa all’aeroporto.

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