I mondi di Tenet

Il nuovo film di Christopher Nolan è una visione malinconico-apocalittica che lascia senza fiato e non ha bisogno di essere capita, ma di essere vissuta dagli spettatori.
Foto archivio Lapresse Festival della Scienza 2007 Nella foto:pistola con bossoli.

Un’affollata sala da concerto. La musica sta per iniziare, ma un gruppo di uomini armati irrompe a farne strage. L’impatto della prima scena dell’attesissimo film di Christopher Nolan – Tenet –, è vincente. Lo spettatore entra da subito nel meccanismo di una spy-story che storia di spie lo è fino ad un certo punto. La trama non è nuova: il cattivo russo Sator (Kenneth Branagh), odia l’umanità ormai  alla deriva ed è deciso ad annientarla, compresi sé stesso e la moglie Kat (Elizabeth Debicki). Gli manca solo un frammento di un’arma letale, un algoritmo inventato nel futuro le cui componenti, spezzettate, sono state nascoste in vari punti della terra. Naturalmente i “buoni” agenti 007 vogliono impedirlo: la lotta agguerrita sarà dentro e oltre il tempo.

Il protagonista nero anonimo coinvolto nella missione (John David Washington figlio del noto Denzel) viene aiutato, in modo ambiguo, dal biondo inglese Neil (Robert Pattinson, quello di Twilight) nella ricerca di eliminare l’oligarca russo entrando in una dimensione temporale che va avanti e indietro molto più delle mirabolanti scene di lotte, sparatorie, corse, inseguimenti, e così via.  Perché è il tempo il vero protagonista di questo film difficile da definire con precisione. Crepuscolare e malinconico per la possibile fine vicina del mondo e degli affetti, o parabola morale (l’eroe anonimo vuol salvare la moglie del russo e non per sesso), oppure evocazione di una età in cui l’uomo padroneggerà, come fosse un dio, il tempo a suo piacere? Quanti mondi possibili.

Nolan in 150 minuti senza tregua, grazie ad una sceneggiatura precisissima, ad attori curati, alla fotografia mozzafiato, non spara sentenze a vuoto – non si parla nemmeno troppo – e fa vivere lo spettatore in una dimensione altra: che è fisica se si vuole, o cronologica o morale del tempo-che-scorre-avanti-indietro. Con  il dubbio, nella lotta eterna tra bene e male, di non aver capito come andrà realmente a finire o se si dovrà ricominciare tutto da capo.

Più che una spy-story, allora, è una visione malinconico-apocalittica che lascia senza fiato ed ha bisogno più che di venire capita, di essere dallo spettatore “vissuta”.

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