I giudici e i tre operai di Melfi

Sentenza a favore della Fiat per i lavoratori licenziati e reintegrati. Vicenda simbolo al centro di un contenzioso che resta aperto
fiat melfi

Il giudice del lavoro di Melfi, alla fine, ha dato ragione alle tesi dei legali della Fiat. Barozzino, La Morte e Pignatelli quella notte tra il 6 e il 7 luglio del 2010 avrebbero bloccato intenzionalmente il funzionamento di un robot dedicato alla produzione provocando un grave danno all’azienda. Tutto ha avuto origine da un’assemblea convocata durante il turno notturno per contestare il ritmo di lavoro imposto dall’azienda.

 

È stata così ribaltata una precedente decisione di un altro giudice del lavoro che aveva valutato il licenziamento dei tre operai un provvedimento «sproporzionato e illegittimo» tanto da ordinarne, ad agosto 2010, il reintegro immediato in servizio. Una sentenza contestata dalla direzione della Fiat che si è rifiutata di applicare.  Per un intero anno, dunque, i tre operai hanno varcato il cancello della fabbrica ricevendo il salario dovuto secondo la sentenza, ma sono rimasti confinati nella saletta di rappresentanza sindacale.

 

La vicenda è destinata a sicuri sviluppi con il ricorso vinto dalla Fiat perché è già stato annunciato il ricorso in appello presso il tribunale di Potenza. E altre decisioni si attendono sui ricorsi individuali presentati dai tre operai. Procedure che comportano un notevole impiego di risorse economiche per i tre lavoratori che ormai, dopo quest’ulteriore pronunciamento, non potranno neanche varcare il portone dello stabilimento di Melfi né tanto meno ricevere alcuna retribuzione. Interviene un fondo di resistenza alimentato da sottoscrizioni volontarie, ma la situazione è comprensibilmente molto difficile e piena di tensione.

 

La vienda riporta all’immagine emblematica del luglio 2010 quando i tre licenziati salirono per protesta sulle antiche mura della città di Melfi con gli ombrelli aperti per ripararsi dal solleone estivo. Si spiega così lo scoramento dei compagni di lavoro che, dopo un anno dai fatti contestati, hanno organizzato un presidio davanti al tribunale di Melfi che stavolta ha accolto il ricorso predisposto dal pool di legali della Fiat teso a dimostrare la mancanza di comportamenti persecutori e antisindacali da parte della società.

Un punto di onore per l’amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne che ha citato spesso l’episodio di Melfi per ribadire la necessità di un nuovo clima di collaborazione e governabilità in fabbrica come requisito necessario per mantenere l’attività della società automobilistica in Italia.

 

Come si ricorderà, una delle poche voci apertamente critiche è stata, invece, quella di mons. Giancarlo Bregantini, presidente della commissione Cei per i problemi sociali e il lavoro, che ha chiesto all’azienda il rispetto della dignità umana e al sindacato saggezza. Dal ministro del Lavoro Sacconi è arrivato, dopo il ricorso vinto dalla Fiat, un invito a ristabilire un clima positivo e a «evitare forme di conflittualità minoritarie». 

 

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