I diritti negati ai migranti dagli Hotspot

Richiesti dalla Road map europea sulle migrazioni per consentire l’identificazione dei migranti prima del loro ricollocamento, sono di fatto centri dove si seleziona chi resta e chi no. Gli espulsi senza adeguato accompagnamento alimentano la lista degli irregolari spesso vittime di violenze e sfruttamento
Migranti Calais

Lampedusa, Trapani, Pozzallo sono i tre centri (tra i sei previsti) dove i migranti soccorsi dall’operazione Frontex o dalla Marina verranno identificati e classificati come richiedenti asilo o migranti economici. Due vie e due progetti di vita si biforcano da questi centri: a chi viene riconosciuta la protezione umanitaria segue il trasferimento in Centri di accoglienza per proseguire le pratiche; a chi invece viene notificato il foglio di respingimento differito, una sorta di espulsione dall’Italia non restano che i Cie (spesso sovraffollati) o la strada.

 

Questo è il lavoro degli Hotspot, i luoghi di identificazione voluti dalla Road map europea sulle migrazioni che avrebbero dovuto facilitare la distribuzione delle quote nei diversi paesi. Accade invece che tanti migranti sono restii al processo di identificazione e oppongono resistenza alla forze dell’ordine, che si trovano talvolta a dover forzare la rilevazione le impronte. Le immagini di queste scene girano su youtube e destano non poca sorpresa pensando che non esiste una legge né europea né nazionale che di fatto li abbia istituiti: sono quindi non luoghi voluti da un documento politico e senza base giuridica, come denunciano a più riprese gli avvocati aderenti all’Aiem. “Nessuna legge – spiegano – prevede che negli hotspot, le persone vengano trattenute per 3-4 giorni o anche una settimana per prendergli le impronte, con una limitazione della libertà personale che è prassi della polizia, ma non norma che autorizza anche la coercizione per portare a buon fine il processo identificativo”.  

 

Altro nodo critico è quello del tipo di informativa offerto ai migranti appena sbarcati da viaggi dell’orrore. Sulla banchina del porto ricevono un foglio dove vengono invitati da un mediatore, non sempre della loro lingua, a compilare una delle voci in elenco che li vuole partiti per trovare lavoro, per raggiungere la famiglia, per altre ragioni e solo nell’ultima riga si pone la richiesta d’asilo. “Questo primo screening è quello che di fatto decide il futuro dei migranti – spiega Loredana Leo, avvocato Asgi ( Associazione studi giuridici sull'immigrazione) – che se ritenuti migranti economici, vengono trasferiti alla questura di Agrigento e muniti di un foglio di respingimento. Nostante le sanzioni e i richiami della Corte europea dei diritti dell’uomo, vige la provvisorietà e la vulnerabilità”.

 

Un ruolo non chiaro è quello riservato ai funzionari di Unhcr (Agenzia Onu per i rifugiati) che dovrebbero garantire la corretta informazione, ma in realtà esercitano questo compito solo dopo la separazione tra migranti economici e richiedenti asilo, mentre il governo continua a sottolineare il loro ruolo di tutela. “In realtà – continua la Leo – sappiamo da alcuni migranti che funzionari dell’Europol o di Frontex sulle navi provvedono già ad una prima scrematura e a decidere sui rimpatri. Non è strano infatti che le capitanerie prima ancora che i migranti sbarchino ne conoscano perfettamente la nazionalità”. Desta preoccupazione la presenza all’arrivo nei porti di funzionari dell’ambasciata gambiana, a cui potrebbero presto aggiungersene di altri paesi dove i diritti umani sono violati con la conseguenza di identificare in anticipo connazionali che “hanno tradito il loro governo”.

 

L’Europa impone all’Italia politiche restrittive nelle identificazioni favorendo però di fatto l’aumento dei numero degli irregolari presenti sul territorio. Chi infatti viene giudicato migrante economico riceve un foglio di espulsione e viene invitato a lasciare il paese: di fatto lo aspetta la strada o i servizi di accoglienza e assistenza legale offerti dalle Caritas, soprattutto di quella agrigentina che da mesi fa fronte a costanti emergenze per impedire che questi disperati entrino in circuiti di illegalità e sfruttamento. Anche la normativa sul richiedente asilo non è chiarissima e così si rischia di finire in un Cie, dove vieni trattenuto per 12 mesi mentre chi non chiede asilo può restare 90 giorni. Il diritto selettivo e incerto con cui l’Italia e la Ue stanno affrontando le migrazioni sembra avulso dallo scenario internazionale e dai conflitti in corso e da quelli che potrebbero delinearsi al fine di costruirsi una fortezza sempre più fragile.

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