I consacrati profeti di speranza

Il pomeriggio del 2 febbraio, festa della presentazione di Gesù al tempio, giornata della vita consacrata, Benedetto XVI ha presieduto la Messa in san Pietro.
Vale la pena riprendere dalla sua omelia tre inviti da lui rivolti alle persone consacrate. Li ha situati nel contesto dell’Anno della fede.

  1. «Vi invito in primo luogo ad alimentare la fede in grado di illuminare la vostra vocazione. Vi esorto per questo a fare memoria, come in un pellegrinaggio interiore, del “primo amore” con cui il Signore Gesù Cristo ha riscaldato il vostro cuore». E l’invito si è concretizzato nello «stare con Lui, nel silenzio e nell’adorazione», per sfociare nel servizio di Dio e dei fratelli.
  2. «In secondo luogo – ha continuato il papa – vi invito a una fede che sappia riconoscere la sapienza della debolezza. Nelle gioie e nelle afflizioni del tempo presente, quando la durezza e il peso della croce si fanno sentire, non dubitate che la kenosi di Cristo è già vittoria pasquale. (…) Nelle società dell’efficienza e del successo, la vostra vita segnata dalla “minorità” e dalla debolezza dei piccoli, dall’empatia con coloro che non hanno voce, diventa un evangelico segno di contraddizione».
  3. Il terzo invito si è identificato nel ricordo che la vita consacrata è un pellegrinaggio verso il futuro, «alla ricerca di un Volto che talora si manifesta e talora si vela». E qui Benedetto XVI, quasi come conclusione dei tre inviti, ha affermato con forza: «Non unitevi ai profeti di sventura che proclamano la fine o il non senso della vita consacrata nella Chiesa dei nostri giorni (…). Piuttosto rivestitevi di Gesù Cristo e indossate le armi della luce (…) restando svegli e vigilanti».

Questo richiamo ai profeti di sventura mi ha fatto ricordare l’analoga affermazione di Giovanni XXIII – animata dalla sua profetica “semplicità” – nel discorso di apertura del Concilio Vaticano II: «A noi sembra di dover risolutamente dissentire da codesti profeti di sventura, che annunziano sempre il peggio, quasi incombesse la fine del mondo». Il respiro del “Papa buono” è più ampio, perché l’orizzonte al quale guardava in quel momento era universale. Ma è significativo, in questo momento in cui si celebra il cinquantesimo del più grande avvenimento ecclesiale del secolo XX (e dell’epoca moderna) che Benedetto XVI approfitti per ritornare all’ispirazione di quegli anni per smentire i “profeti di sventura”, persone senza speranza e affossatori del progetto di Cristo sulla Chiesa. Perché «la kenosi di Cristo è già vittoria pasquale».

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