I colori e il calore dell’Italia

«Se saremo uniti sapremo vincere le difficoltà» Napolitano interpreta i sentimenti degli italiani e invita tutti alla gratitudine per la Patria, mentre sprona al coraggio di percorsi comuni
Napolitano

 Il 17 marzo sembra sia scoppiata negli italiani un’improvvisa vena patriottica. Lo provano le bandiere svolazzanti sui balconi e tra le mani innocenti dei bambini o quelle attaccate alle scapole di qualche giovane a mo’ di ali per spiccare voli alti. Ci sono, poi, le note del tricolore, non solo omaggiato dalle bande musicali, ma anche da qualche vezzo modaiolo che incornicia gli sguardi delle signore dipinti di rosso, bianco e verde, a cui si aggiunge qualche mise eccentrica con sciarpa berretto, giacca o pantaloni ispirati ai tre colori nazionali.

 

Accanto ai colori però si avvertiva il calore di un patriottismo sdoganato dal cimelio e dalla retorica fascista, che perché non del tutto indagata e digerita dal popolo italico, archivia le manifestazioni d’affetto alla Patria come muffa di tempi infausti. E invece il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha manifestato tutta la sua soddisfazione nel vedere il «rilancio, mai così vasto e diffuso dei nostri simboli, della bandiera tricolore, dell’Inno di Mameli». Napolitano, ieri, ci ha restituito l’orgoglio e la fiducia di essere italiani.

 

Il Presidente della Repubblica nel discorso pronunciato alle Camere ha più volte utilizzato questo binomio senza per questo cedere alla retorica e ai «racconti storici edulcorati». Ha sfogliato per noi pagine di storia seppellite nella memoria dei più o confinate a scomodi ricordi scolastici, e in questo ricordo in tanti lo hanno seguito, incuriositi e sorpresi dalle scelte di giovani uomini appassionati, idealisti – parola che ai tempi non suonava assolutamente demodé. Nelle sale del museo del Risorgimento, nella notte tricolore c’era una ressa di giovani davanti alla lapide che riportava la lettera di Nazario Sauro al figlio prima di essere giustiziato: «Tu forse comprendi od altrimenti comprenderai fra qualche anno quale era il mio dovere d’italiano Io muoio col solo dispiacere di privare i miei carissimi e buonissimi figli del loro amato padre, ma vi viene in aiuto la Patria che è il plurale di padre, e su questa patria, giura o Nino, e farai giurare ai tuoi fratelli quando avranno l’età per ben comprendere, che sarete sempre, ovunque e prima di tutto italiani!».

 

Parole che oggi non troverebbero tante penne disposte a vergarle, nè tanti italiani disposti a tali sacrifici. Eppure quelle battaglie e quelle vite compirono l’unità del Paese, eroicamente ma non senza elementi di criticità. Il Presidente non dimentica nel suo discorso i nodi di allora e quelli di oggi, consapevole che 150 anni fa si iniziò a costruire un progetto, non ancora concluso. Da qui l’invito a “un esame di coscienza collettivo” che ha il nome di Mezzogiorno e di questione sociale con responsabilità condivise di politici e cittadini. Un esame di coscienza che include anche il significato di federalismo che potrà sì «garantire maggiore autonomia e responsabilità alle istituzioni regionali e locali rinnovando e rafforzando le basi dell’unità nazionale», quale contributo alla «difesa e al consolidamento delle istituzioni democratiche» e non alla loro separazione.

 

In un’Italia ancora in cerca d’unità, continuamente presentato a metà, su argini che appaiono sempre separati e incapaci di gettare ponti, la festa del 150° diventa pressante ricerca dei segnali d’unità della storia passata e presente. Napolitano ne richiama parecchi per indicare che la coesione e l’unità nazionale sono uscite cementate anche dai conflitti, non ultimo quello tra Stato – Chiesa che però «ha saputo garantire laicità e libertà religiosa». O ancora quello tra le tante anime dell’Assemblea costituente che hanno invece offerto una «valida base del nostro vivere comune, offrendo un corpo di principi e di valori in cui tutti posso riconoscersi».

 

Ricorda poi che «nella nostra storia e nella nostra visione, la parola unità si sposa con altre: pluralità, diversità, solidarietà, sussidiarietà».  La pluralità e la diversità ci sono appartenute e continuano ad appartenerci perché gli italiani che festeggiano oggi sono indù, africani e asiatici e l’inno di Mameli eseguito dai bambini delle scuole romane sulle scale del Vittoriano è multietnico, come prima era multi regionale, solo che ora quelle regioni hanno i confini del mondo. Ognuno di questi nuovi e “vecchi” italiani avrà sicuramente «i suoi problemi, i suoi interessi e le sue idee -ricordava il Presidente nell’altro suo discorso per la “Notte tricolore”,- ma ognuno ricordi sempre che è parte di qualcosa di più grande che è la nostra nazione, la nostra patria, la nostra Italia. E se saremo uniti sapremo vincere tutte le difficoltà che ci attendono».  Quest’unità è fatta di relazioni sottolinea il cardinale Angelo Bagnasco nella messa celebrata a s.Maria degli angeli, relazioni che richiamano «all’identità plurale e variegata della nostra Patria», di cui «tutti ci sentiamo orgogliosamente figli, perché a lei dobbiamo gran parte della nostra identità umana e religiosa».

 

Anche noi cronisti siamo stati convocati con taccuino e penna davanti a questa Italia fatta non solo di scandali e illegalità, esageratamente gridati, ma anche di sentimenti, di valori e di un’umanità che ha avuto sì eroi risorgimentali, ma continua ad averne altrettanti, più silenziosi magari e più quotidiani, non certo meno appassionati e ─ diciamolo pure ─ idealisti. Sdoganiamoli, quindi, quest’anno dal dimenticatoio mediatico e restituiamogli i colori e il calore della vita, senza aspettare musei e secolari celebrazioni.

 

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