Guerra in Ucraina, i toni s’abbassano, si spera

I discorsi paralleli di Putin (per la Festa della vittoria) e di Macron (per la Festa dell’Europa) dimostrano come la guerra faccia male e stemperi gli eccessi propagandistici. O forse sono solo tattiche per ingannare il nemico?
Da sinistra, il ministro della Difesa russo Sergei Shoigu e il presidente Putin alla Festa della Vittoria sui nazisti. Foto Ap.

Chi si attendeva sfracelli dalla manifestazione muscolare nella Piazza Rossa di Mosca – annunci di vittorie improbabili, dichiarazioni di mobilitazione generale, discesa in campo di armi proibite – ha dovuto ricredersi. Il breve discorso di Vladimir Putin di fronte a una folla commossa e a un esercito impettito è stato in fondo una spiegazione del perché della “operazione speciale” che l’esercito russo sta conducendo in Ucraina: nel mirino c’è, come ci si attendeva, la Nato (non l’Unione europea) e il suo accanimento sulle frontiere della Russia, con l’arruolamento nelle sue fila di numerosi Paesi che una volta erano nella sfera d’influenza di Mosca, con le continue provocazioni (vedi il sostegno alle rivolte popolari in Georgia, Kazakhistan, Ucraina, Bielorussia…) dei servizi segreti dei Paesi Nato, fino ad un presunto “piano di attacco” contro la stessa Russia che avrebbe portato Mosca a giocare d’anticipo avviando la “operazione speciale in Ucraina”.

Per chi ha la memoria non troppo corta, ci si ricorderà che, dopo la caduta del Muro di Berlino, fino al nuovo millennio le relazioni tra Nato e Russia si erano incanalate sulla via della collaborazione, con osservatori misti e partecipazioni alle rispettive riunioni di sicurezza che facevano sperare che finalmente la Guerra Fredda fosse stata riposta nel dimenticatoio.

Il periodo di governo di Boris Eltsin aveva portato la Russia sull’orlo del collasso e la posizione negoziale di Mosca era perciò assai debole. Per di più, le incertezze politiche eltsiniane, le sbronze ripetute impossibili da mascherare del presidente, il crollo del rublo avevano messo a dura prova la sopportazione della popolazione russa che, abituata alla supremazia russa degli zar e dei sovietici si sentiva umiliata; si stava preparando l’avvento della nomenklatura vetero-comunista in salsa capitalistica che aveva recuperato a basso prezzo le ricchezze strategiche sovietiche e sventolava nostalgie dell’ordine politico dell’era sovietica. Un sistema oligarchico.

Da questa situazione umiliante per lo spirito fiero dei russi era partito il ritorno a una situazione di conflittualità latente, seppur non belligerante, con la Nato, e un ritorno al riarmo. Unica novità: il tentativo di Putin di sparigliare il campo avversario facendosi amici, anche con operazioni finanziarie ed economiche, personaggi al vertice di alcuni Paesi europei, in testa Silvio Berlusconi e Gerard Schroeder. Il gas russo venne offerto ai grandi dell’Europa, creando una progressiva, forte dipendenza dell’Unione europea dal gas e dal petrolio russi. Fino alla guerra ucraina attuale, passando per la “guerretta” dell’Ossezia del sud del 2008 e la destituzione dl governo filorusso di Kiev nel 2014, e la conseguente conquista di parte del Donbass, in particolare dei territori di Lugansk e Donetsk, senza considerare la repressione dei moti di rivolta in diversi Paesi, tra cui Bielorussia e Kazakistan.

HeraIn questo contesto, in contemporanea con la Festa della vittoria sui nazisti, a Strasburgo le massime autorità europee (solo Michel era sotto i missili a Odessa) hanno celebrato la Festa dell’Europa. I toni usati dalla presidente della commissione europea, Ursula von der Leyen, e soprattutto dal presidente di turno dell’Ue, Emmanuel Macron, sono stati assai decisi: da una parte, per la “cucina” interna, hanno proposto di cambiare le regole dell’Unione, abolendo l’unanimità delle decisioni e proponendo la maggioranza qualificata. Dall’altra hanno cercato di dare fiato alla voce dell’Europa rispetto a quella della Nato: niente escalation verbali, niente demonizzazione di Mosca, ricerca del reciproco interesse, avvio di negoziati seri tra Kiev e Mosca, direttamente.

Tutto ciò per evitare di elevare il conflitto russo-ucraino a un conflitto Nato-Russia. Tutto ciò all’indomani di un curioso duetto: da una parte Zelensky ha parlato di un possibile negoziato che escludesse la Crimea, considerata persa, dall’altra la Nato riaffermava che non sarebbe stato tollerata una ridefinizione dei confini precedenti al 2014. C’è da giurare che Draghi a Biden dirà concetti simili, L’Europa sta cercando una sua via intermedia.

Siamo giunti a più miti consigli? Putin ha capito che sul campo non può stravincere? Gli europei sanno che chiudere i rubinetti del gas alla locomotiva tedesca equivarrebbe a una potente recessione? Le prossime settimane diranno. Ma le armi ancora strepitano.

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