Guerra in Siria, anno decimo

A marzo 2011 iniziava il sanguinoso conflitto in Siria che ha causato una delle più gravi catastrofi umanitarie del nostro tempo. Dieci anni dopo la devastazione è al di là della comprensione. Non c'è modo di tornare al 2011 e la giustizia è l'unico modo per guarire.

Una citazione, probabilmente apocrifa, di Henry Kissinger (a maggio compirà 98 anni), segretario di Stato Usa negli anni ’70, che la sapeva lunga su strategie e intrighi, dice: «In Medio Oriente non ci può essere guerra senza l’Egitto, ma non ci può essere pace senza la Siria». Infatti la pace non c’è in Siria e le guerre vanno avanti da 10 anni. Si considera convenzionalmente come data di inizio il 15 marzo 2011. E dopo 10 anni è ancora impossibile fare un bilancio se non provvisorio, perché le guerre non si sono mai fermate e non sono certo finite.

Ed è dolorosamente difficile perfino fare un quadro della situazione, perché non si tratta di un quadro, ma di molti complicatissimi e intricatissimi quadri dove vero e falso si intersecano e si mescolano continuamente in modo pressoché indecifrabile. Intrecci che non riguardano certo solo la Siria e neppure soltanto il Medio Oriente.

Come scriveva nei giorni scorsi Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia: «Siria…, vuol dire migranti, morti in mare. Siria è Isis. Siria è Trump e Putin ed Erdogan e gli ayatollah. Siria è Assad, Al Nusra e tutte le sigle che ne sono seguite. Siria è Aylan [il bimbo curdo trovato morto su una spiaggia turca nel 2015]. Siria è Bataclan, Siria in questi dieci anni è Europa, Germania, Francia, Italia e Regno Unito. Siria è gas nervino, bombe al fosforo e barrel bombs. Siria è bambini in fuga, figli di foreign fighters. Siria è giornalisti che hanno perso la vita, rapiti, rilasciati, decapitati. Siria è bellezza violata, templi distrutti. Prigioni. Siria è Aleppo, ricordate? Siria è il sorriso dei bambini e delle bambine dei campi profughi che vogliono tornare a casa. Siria è resilienza vera». La Siria oggi è tutto questo, ma è purtroppo anche molto, molto altro.

Per quanto riguarda i siriani, cioè le vittime, secondo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), 5,6 milioni sono rifugiati soprattutto in Turchia, Libano e Giordania, e 6,7 milioni hanno lasciato le proprie case e vivono in campi profughi all’interno del Paese. I morti a causa della guerra sarebbero intorno a 400 mila, in maggioranza civili. Ma potrebbero essere molti di più.

Almeno metà delle strutture sanitarie di 10 anni fa sono distrutte o non funzionanti per mancanza di personale. Il Covid-19 avrebbe contagiato dall’inizio quasi 17 mila persone, con circa 1.100 decessi. Ma si tratta di numeri non ufficiali e senza possibilità di riscontro.

In questi 10 anni, la lira siriana ha perso il 98% del suo valore rispetto al dollaro. Nel 2011 un dollaro valeva 47 lire, qualche giorno fa a Damasco non bastavano 4 mila lire per un dollaro, naturalmente al mercato nero. Oggi, secondo le Nazioni Unite, 2 milioni di siriani vivono in condizioni di estrema povertà e 12,4 milioni hanno difficoltà a procurarsi il cibo. Benzina e carburanti per riscaldamento hanno prezzi sempre meno abbordabili per gran parte della gente.

Per quanto riguarda le posizioni sul terreno, quella che era la Siria non esiste più: ci sono almeno 6 zone controllate militarmente da ben più di 6 occupanti, che agiscono per conto proprio o di altri.

Il governo di Assad controlla apparentemente due terzi del Paese, in realtà può poco senza fare i conti con russi (presenti con basi navali sulla costa) e iraniani, o milizie sciite filo-iraniane come la libanese Hezbollah e le iraqene Kataib Hezbollah e Kataib Sayyid al-Shuhada (obiettivo queste ultime del recente raid aereo statunitense di epoca Biden). Senza contare l’autonomismo e i dissidi delle tribù druse, di quelle arabe e perfino degli alawiti della costa.

Il nordest siriano è controllato dai curdi, che hanno combattuto contro l’Isis con il sostegno statunitense e che attualmente occupano alcune delle zone più ricche di risorse petrolifere.

A Nord ci sono i territori (ex curdi) occupati dai turchi e a nordovest l’area di Idlib dove è concentrato quanto resta delle formazioni di ribelli siriani antiregime, tra le quali alcuni gruppi jihadisti, come Hayat Tahrir al Sham (ex al Nusra), esercitano una certa leadership sotto patrocinio turco.

A sudovest si trova la zona del Golan da decenni occupata dagli israeliani (e che Trump ha elargito due anni fa a Israele). A sud c’è la vasta zona desertica di al Tanf occupata da una base statunitense, dal gruppo militare Maghawir al Tawra e dal campo profughi di Rukban.

Al centro e verso il confine iraqeno restano alcune aree di fatto controllate da gruppi legati all’Isis (Daesh).

Maissun Melhem, siriana di Latakia che vive da anni in Germania, ha detto in questi giorni parlando dei 10 anni di guerre siriane in un programma trasmesso dall’emittente internazionale Deutsche Welle, per cui lavora come giornalista: «Dieci anni dopo che i siriani hanno osato sognare la dignità e la libertà, la devastazione è al di là della comprensione. Non c’è modo di tornare al 2011 e la giustizia è l’unico modo per guarire».

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