Grillo e Renzi alla prova riforme

Cambia la strategia del Movimento 5 stelle: non più solo forza antagonista, ma rappresentanza politica che vuole sedersi ad un tavolo e negoziare. Quanto hanno inciso i risultati delle europee e la voce della base?
Matteo Renzi e Beppe Grillo sullo sfondo

Quale sarà l’esito del tavolo sulle riforme istituzionali chiesto dai grillini al governo di Renzi ancora non lo sappiamo. In gioco c’è la legge elettorale e il destino del bicameralismo, ma merita una riflessione a sé il cambio di comportamento della compagine grillina.

Eravamo rimasti al rocambolesco e sconcertante incontro fra Grillo e Renzi per le consultazioni di governo. Pochi minuti, dettati da un livore segnato dalla immaginaria linea tracciata da Grillo e Casaleggio fra i buoni (loro) e i cattivi (il resto del mondo), con i quali non solo nessun accordo è possibile, ma anche il dialogo è sbagliato. Le riforme, invece, sono state l’occasione per rimettere tutti seduti attorno a un tavolo, in streaming.

Cosa è cambiato?
La strategia d’esordio del movimento di Grillo non sta più dando i risultati sperati, come il recente fallimento alle europee ha conclamato. Ricordiamoci che all’inizio il M5S si propose come una forza antagonista e antisistemica. In altre parole, tutto ciò che proveniva dalla classe politica legata con le forme del passato era ritenuto corrotto e antidemocratico. L’antagonismo politico, tuttavia, funziona bene quando si contrappone a un avversario solido, meglio se impersonificato da un leader pericoloso.

Funzionava bene nell’Italia berlusconiana (soprattutto) e bersaniana (in minore misura), ma il governo Renzi è un’altra cosa. Renzi non è un bersaglio facile da colpire, è mobile, sfuggente, e sul terreno del rinnovamento è competitivo. A proprie spese, il M5S ha scoperto che essere contro un sistema che sta tentando di cambiare se stesso è controproducente. Il terreno delle riforme, poi, è fra i più pericolosi.

Nel nostro Paese, dopo anni di chiacchiere sulle riforme, siamo arrivati al punto che cambiare le istituzioni è una necessità a prescindere da quanto tali riforme possano essere migliorabili. Dunque, chi non le vuole è reazionario, chi le frena è conservatore. Ritrovarsi attorno a un tavolo per negoziare le riforme, individuare i punti di convergenza, sottolineare cosa manca l’uno all’altro, è il modo per il M5S di uscire da un guado nel quale rischia di rimanerci fino al 2018. E questa, per quasi tutte le forze politiche, non è più la peggiore delle ipotesi, perché andare al voto non conviene a nessuno.

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