Green pass, compressione dei diritti o bussola per la sicurezza?

L’ obbligatorietà della Certificazione verde Covid-19 (Green Pass) trova la sua ragione nelle radici dei diritti e dei doveri stabiliti nella nostra Costituzione secondo il principio di solidarietà sociale
(Laurent Gillieron/Keystone via AP)

Può sembrare assurdo che anche la salute, bene fondamentale della persona, diventi in questo tempo sui social e nei mass media motivo di dibattito divisivo e ragione di sempre nuovi scontri. Eppure è così, e accade se la misura è l’individuo nell’autoreferenzialità di diritti irrinunciabili e incomprimibili. La convivenza si fa luogo di scontro, il dibattito registra il profondo contrasto di opinioni, la confusione complica la vita che chiede piuttosto scelte ragionevoli e responsabili.

Da dove cominciare? Le norme si susseguono, i decreti legge si rinnovano con sempre nuove scadenze, ma il Covid continua a minare la salute e a decretare la morte ora anche di giovani e mamme in attesa, che nell’incalzare di una “guerra” anche di opinioni hanno scelto di non sottoporsi a un vaccino poco conosciuto, non sicuro, dibattuto fra gli stessi medici e scienziati in ordine all’origine, all’efficacia e ai possibili effetti nella somministrazione.

In fondo però, tutti intendono partire da un terreno comune capace di unire, come la nostra Costituzione. Gli stessi “padri costituenti”, esponenti di tutti i partiti, affrontarono per primi il tema della salute, nella consapevolezza che la sua tutela «implica anche la prevenzione delle malattie» e con essa l’esigenza che l’organizzazione sanitaria assicuri a tutti la possibilità di usufruire di mezzi di prevenzione e cura, restando compito della legge garantirne la gratuità ai non abbienti.

Chiave di lettura allora, come oggi, è la stessa solidarietà sociale, che già l’art. 2 Cost., fin dal riconoscimento dei diritti inviolabili, enuncia come dovere inderogabile. Così, nella discussione avvenuta il 24 aprile 1947 nell’Assemblea Costituente si dava risalto a quel principio “di socialità” per il quale, insieme al diritto del cittadino di essere tutelato nella salute, si pone anche un suo dovere di collaborare con la collettività.

Anche il dettato dell’attuale art. 16 Cost. sulla libertà di circolazione comporta limitazioni stabilite in via generale dalla legge «per motivi di sanità o di sicurezza». Un diritto quindi non assoluto, ma che può andare incontro a limitazioni sulla base di un criterio di ragionevolezza e proporzionalità, sotteso allo stesso disposto dell’art. 32 Cost.: La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.

Non si escludono trattamenti sanitari obbligatori, purché disposti per legge. Così, dimensione individuale e interesse della collettività danno ragione di un diritto, come la salute, collocato nel Titolo II della Costituzione, dedicato ai «Rapporti etico-sociali»: diritti riconosciuti nella “reciprocità” di doveri, per dar vita a quelle relazioni che fondano ogni comunità (famiglia, scuola, ambito socio-sanitario).

Verrebbe allora da chiedersi se anche oggi siamo disposti a guardarci in relazione gli uni con gli altri. Eppure, anche la libertà così tanto invocata e difesa è collocata dalla Costituzione, nelle sue molteplici espressioni, nell’ambito dei «Rapporti civili», a fondare quelle relazioni che nella convivenza ammettono necessarie restrizioni, purché disposte per legge a garanzia e salvaguardia di una Repubblica parlamentare come la nostra.

Non dimentichiamo che anche il lavoro, costitutivo della dignità dell’uomo, è previsto all’art. 4 della nostra Costituzione come diritto e dovere: diritto, per il quale l’imprenditore è tenuto a garantire le misure necessarie a tutela dell’integrità fisica dei lavoratori (art. 2087 cod. civ.); dovere, che impegna altresì «ogni lavoratore» a «prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro» (art. 20 T. U. n. 81/2008).

Vi è dunque il diritto dell’altro a spiegare ancora oggi quanto anni or sono ebbe a dire il presidente emerito della Corte costituzionale G. M. Flick: «L’uomo non vive in un vuoto pneumatico che gli consenta di diventare arbitro assoluto di se stesso ma nel contesto di una relazione con gli altri».

Una logica che può dar conto oggi dei due decreti speculari emessi il 2 settembre scorso in ambito scolastico dal TAR del Lazio (nn. 4531 e 4532), che definisce “non irrazionale” il costo del tampone a carico del docente che scelga di avvalersi di tale alternativa in luogo della vaccinazione, questa, sì, gratuita per tutti.

In tempo di pandemia anche il giurista Sabino Cassese richiama ripetutamente i doveri di solidarietà imposti dalla nostra Costituzione, tanto da definire il Green pass strumento da far valere come “patente di guida”, per proteggere i fragili e liberare negli ospedali posti preziosi da destinare alla cura di pazienti con patologie gravi e diverse.

Questo conferma che il diritto non è fatto per i forti, o almeno dovrebbe esserci, e a maggior ragione, un diritto per i deboli. É questo, in fondo, il senso della domanda che un costituzionalista, come Michele Ainis, (nel libro “La Costituzione e la Bellezza”) pone a tutti noi: «Esiste veramente quel tipo d’individuo astratto, pienamente libero di determinarsi e soddisfare i propri interessi in ogni situazione e durante tutte le stagioni della vita […]? Se esiste, e se quest’individuo sano ed efficiente rappresenta quindi il metro di misura della normalità giuridica, egli ha però di fronte una compagnia composita e mutevole, e comunque assai affollata». Tra questi, i tanti deboli e fragili che oggi hanno il nome di immunodepressi, anziani nelle RSA, bambini, donne in attesa di un figlio, persone affette da patologie serie e sfidanti, quei tanti di cui non sappiamo, ma che ogni giorno possono passarci accanto e silenziosamente attendere rispetto e considerazione.

Forse, occorre riuscire a cambiare il nostro sguardo per rileggere quei nomi scritti su un Green pass come “una mano tesa”, in assenza di certezze, verso chi ci è accanto nella famiglia, anziano o vulnerabile, ma anche verso chi non conosco, e che con la sua sola presenza mi interpella nell’impossibilità di tutelare da solo la propria salute. Il diritto non è per me, in una vuota retorica di diritti, ma per tutti, a regolare la nostra convivenza nella varietà e anche nei drammi delle vicende umane.

 

Nota tecnica di approfondimento

È di questi giorni l’approvazione alla Camera del decreto legge n. 105/2021, contenente le disposizioni sul Green pass, che riconosce validità ai fini del suo rilascio anche ai test salivari con esito negativo, oltre ai tamponi antigenico e molecolare ora a prezzi calmierati.

Ulteriori estensioni nell’uso della certificazione verde (alcune già nel decreto-legge n. 122 del 10 settembre scorso) si prospettano specie nell’ambito scolastico e socio-sanitario ed è facilmente intuibile che polemiche e scontri non si esauriranno.

Ma a completare il quadro normativo va tenuto presente anche il contesto dell’Unione europea. Per tutti, il Regolamento (UE) 2011/953 del Parlamento e del Consiglio del 14 giugno 2021, che al considerando (6) riconosce conforme all’ordinamento la facoltà accordata agli Stati membri di «limitare il diritto fondamentale alla libera circolazione per motivi di sanità pubblica».  Nel merito, una rettifica allo stesso Regolamento è stata introdotta al considerando 36, che in premessa alle norme ricorda di evitare una discriminazione diretta o indiretta di persone non vaccinate, e fra queste la Rettifica ha introdotto anche coloro che hanno scelto di non essere vaccinate (G.U.U.E. L 211 del 15 giugno 2021). Resta tuttavia fermo l’impegno di perseguire «al contempo un livello elevato di protezione della salute pubblica» (11). Come, se non ricorrendo a misure precauzionali?

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