Grazia e speranza in Cristo

Come su altri temi, anche sulla persona di Maria – sebbene possa a volte sembrare il contrario – c’è la possibilità che i cristiani imparino qualcosa l’uno dall’altro. Considerando insieme questa figura storica, così straordinaria, si dischiudono nuove intuizioni e bellezze dell’amore di Dio. È in questa chiave che il presente contributo interpreta la dichiarazione dell’ARCIC (Anglican Roman Catholic International Commission) “Maria: grazia e speranza in Cristo”, pubblicato a Seattle nel 2004. L’autore è teologo e focolarino sacerdote anglicano. Dopo aver lavorato per l’ecumenismo a livello regionale e in vari comitati a livello nazionale, recentemente è stato nominato delegato ecumenico nazionale della Chiesa d’Inghilterra.  

Volendo esplorare, pur nella brevità di questo contributo, quanto il dialogo fra anglicani e cattolici possa offrire per la comprensione di Maria, bisogna affermare innanzi tutto che la Madre di Dio non è mai stata dimenticata nella tradizione anglicana.

Il Book of Common Prayer (il Libro della preghiera comune) che esprime in liturgia il pensiero e la vita degli anglicani dal momento del loro emergersi quale corrente distinta da Roma, conosce cinque feste mariane lungo l’arco dell’anno. E ciò ha la sua importanza, perché, per la Chiesa d’Inghilterra, come per tutte le Chiese della Comunione Anglicana, vale l’antica massima lex orandi lex credendi: la norma della preghiera è anche norma della fede, giacché particolarmente per gli anglicani la teologia trova espressione in modo speciale nella liturgia. Dice la Commissione Internazionale Anglicana Romano Cattolica (ARCIC): «Dal 1561, il calendario della Chiesa d’Inghilterra (riportato nel Book of Common Prayer del 1662) prevede cinque feste legate a Maria: Concepimento di Maria, Natività di Maria, Annunciazione, Visitazione e Purificazione/Presentazione»1. Manca l’Assunzione, per due motivi che sono decisivi per gli anglicani come del resto per tutte le Chiese che si possono chiamare, in un modo o nell’altro, “riformate”: da un lato perché non c’è nelle Scritture e dall’altro perché non si vuole gettare ombra sulla centralità dell’unico mediatore Gesù Cristo.

In quasi tutte le chiese anglicane in Inghilterra esiste anche una cappella dedicata alla Madonna, benché, credo, pochi siano profondamente consapevoli del significato della Lady Chapel (come si chiama). In più, come ci ricorda pure l’ARCIC, tutti i giorni nella preghiera dei Vespri si usa il Magnificat. Dal punto di vista liturgico, Maria è stata quindi sempre presente.

Ma un pensiero positivo nei riguardi di Maria si è sviluppato, in una parte della Chiesa d’Inghilterra, a partire dal secolo XVII quando autori come Lancelot Andrewes, Jeremy Taylor e Thomas Ken hanno messo in luce certe idee dei Padri della Chiesa. Lancelot Andrewes, ad esempio, nelle sue Preces privatae si ispira alle liturgie orientali per esprimere il suo atteggiamento favorevole alla devozione mariana «che celebra la tuttasanta, immacolata, beatissima madre di Dio e sempre vergine Maria». Questa corrente di pensiero avrà un seguito anche nel secolo successivo e poi nel Movimento di Oxford del XIX secolo.

  Testimonianza personale

Condividere qualcosa della mia esperienza personale potrà aiutare forse a capire meglio come un anglicano, con ben poca conoscenza di Maria, possa aprirsi alla dimensione mariana della fede cristiana. Provengo, infatti, da una parte della Chiesa d’Inghilterra in cui Maria non era molto presente. La vedevo, sì, come una persona forse un po’ speciale, ma soprattutto mi appariva un po’ distante. Come per altri aspetti della vita cristiana, l’incontro con il carisma dell’unità ha provocato in me anche qui una svolta. E ciò non tanto grazie a un pensiero o a una luce dottrinale, ma per l’esperienza della Parola di Dio vissuta. Man mano che mi sono messo a vivere la Parola, così come ci propone la spiritualità dell’unità, ho cominciato a vedere Maria in modo nuovo. Penso che la vita della Parola, condivisa poi con altri, mi abbia reso capace di vedere Maria un po’ come l’ha compresa Chiara Lubich, e questo in particolare grazie a due esperienze che andavo facendo a contatto con il carisma dell’unità.

Innanzi tutto, quello che sperimentavamo e tuttora sperimentiamo quando, con l’amore reciproco vissuto radicalmente, cerchiamo di dare spazio a Gesù in mezzo a noi (cf. Mt 18, 20). Succede allora che, nel nostro modo di vivere insieme, ci troviamo a vivere in certo qual senso una “maternità” nei confronti di Gesù: permettiamo cioè che la sua presenza di Risorto possa prendere “corpo” in noi e fra noi. Quando amiamo, e soprattutto quando ci amiamo vicendevolmente, Dio “nasce” dentro di noi e in mezzo a noi. Così ho potuto capire Maria come modello.

Ho poi sperimentato che, per vivere in tal modo da “madre di Dio”, ci vogliono tante virtù: occorre accogliere l’altro, saper mettersi anche sotto l’altro, ascoltare l’altro. Vale a dire: c’è un elemento “negativo” insito nell’amore, ma è proprio questo sapersi far piccoli ed anzi “nulla” a renderci capaci di diventare, nella nostra realtà finita, “madri” dell’Infinito che è Dio. Anche questo mi ha fatto capire Maria: una creatura che, pur nei limiti della condizione umana, ha potuto, per grazia di Dio, contenere l’Increato.

Così, scoprendo il Vangelo con la vita, ho scoperto anche Maria. Ho constatato che la spiritualità dell’unità ci apre un’esegesi delle Scritture attraverso la vita, mettendo in moto come un circolo ermeneutico: la vita ti fa penetrare la Scrittura e la Scrittura ti fa penetrare la vita.

  Il documento dell’ARCIC
«Maria: grazia
e speranza in Cristo» 

Quando nel 2004 è uscito il documento dell’ARCIC su Maria, ne sono rimasto commosso perché mi sembrava un notevole passo in avanti nel rapporto fra anglicani e cattolici. Non era stato facile arrivare a un consenso. A un certo punto uno dei membri della Commissione mi aveva detto che il percorso era fermo perché «non possiamo andare molto oltre il Concilio di Efeso». Ma poi si è trovata la via, con un elemento di genio spirituale che, partendo dalla definizione di Maria come Madre di Dio (Theotókos), ha spianato la strada per sviluppare una mutua comprensione.

Quale è stata questa via? Il passo principale era quello di porre a fondamento di ogni comprensione la Scrittura. Per tutti i cristiani, essa è la norma della Rivelazione. Qualsiasi cosa si dica su Maria deve pertanto salvaguardare o approfondire il dato biblico. Per gli anglicani, per i quali la Parola di Dio rivelata è la suprema autorità, questo passo è stato fondamentale. Ma è stato così anche per i cattolici, perché il Magistero della Chiesa non è al di sopra della Parola di Dio, bensì la serve.

Partendo da questa solida premessa, i membri della Commissione hanno notato come nel NT, e specie in Paolo, si poteva rilevare un caratteristico percorso della grazia, quello che l’ARCIC ha poi chiamato una traiettoria di grazia e di speranza. La vicenda di Maria segue, come quella di tutti, questo percorso, anche se con proprie modalità, corrispondenti a lei quale Madre di Dio, la Theotókos. In questa luce – si è visto poi – si potevano comprendere con maggiore precisione e in maniera condivisa anche i due dogmi dibattuti dell’Immacolata Concezione e dell’Assunzione di Maria.

La traiettoria di grazia e di speranza, di cui parlavamo, si trova sintetizzata con particolare evidenza in Rm 8, 30 dove leggiamo: «quelli poi che [Dio] ha predestinati li ha anche chiamati; quelli che ha chiamati li ha anche giustificati; quelli che ha giustificati li ha anche glorificati». Predestinati, chiamati, giustificati, glorificati sono quattro momenti nella vita di grazia che si susseguono con un filo logico.

Aggiungendo a ciò un elemento di comprensione vitale, come ce la apre la spiritualità di Chiara Lubich, si può spiegare così questa traiettoria:

Dio ci ha predestinati. Su ciascun essere umano c’è un piano di Dio. In Maria questo piano si esprime nel suo diventare Madre di Dio: da sempre Dio l’ha vista quale Theotókos. Ma per essere capace di essere Madre di Dio, doveva essere preparata nel più intimo della sua realtà di creatura umana.

Dio ci chiama. In un determinato momento della storia Dio ci chiama a compiere quello che egli nel suo amore ha pensato per noi. Con Maria ciò avviene nell’Annunciazione.

Dio ci giustifica. Per diventare capaci di compiere il piano di Dio, dobbiamo essere liberati dai nostri peccati e ricevere in dono la vita divina. Abbiamo assoluta necessità della grazia; dobbiamo essere giustificati. Dio ci dà questa grazia attraverso Gesù che muore in croce. È così anche per Maria.

Dio ci glorifica. Saremo portati dall’amore di Dio a compiere quello che egli ha pensato per noi, ossia, arriveremo alla glorificazione e la vivremo in pienezza nella risurrezione della carne. Questo, in un modo o nell’altro, è il destino di tutti e lo è pure per Maria.

  Dalla traiettoria di grazia
e di speranza
ai dogmi mariani

Alla luce di questa traiettoria di grazia, l’ARCIC ha maturato le seguenti convinzioni.

Per poter capire i due dogmi mariani della Chiesa cattolica è indispensabile considerarli alla luce di quanto la Rivelazione ci dice su come Dio agisce con ciascuna persona umana. A seconda del particolare piano divino d’amore per la vita di ognuno, quest’azione ha le caratteristiche necessarie.

È da questa prospettiva che insieme possiamo guardare all’Immacolata: Maria deve essere capace di ricevere in sé Dio stesso che nasce in lei come uomo, prendendo da lei la carne, la sua l’umanità. Perché si compia questo piano di Dio, è necessaria una recettività piena da parte di Maria. Ciò implica che lei, nella profondità più intima della sua persona, deve essere preparata ad accogliere Dio, e cioè che lei deve essere santa in tutto il suo essere. Qualsiasi macchia di peccato o ombra lasciata dal peccato avrebbe ostacolato il piano di Dio. Maria, dunque, deve essere stata tuttasanta sin dall’inizio della sua esistenza, panaghia come si dice in Oriente. In Occidente, dove la dottrina del peccato originale risente molto del pensiero di Agostino d’Ippona, lo stesso pensiero della preparazione di Maria in vista del suo ruolo nella storia della salvezza si è espresso con il termine “immacolata”.

Ciò può essere frutto però soltanto dell’azione giustificante di Cristo, l’unico mediatore. L’ARCIC dimostra come secondo la Scrittura l’azione di Cristo ha effetti già prima della nascita storica del Salvatore e fa quindi, con riferimento alla visione anglicana e a quella cattolica, quest’affermazione determinante:

«In vista della sua vocazione a essere la madre del Santo (Lc 1, 35), possiamo affermare insieme che l’opera di redenzione di Cristo ha raggiunto Maria “fino in fondo”, nell’intimo del suo essere e nei suoi primissimi momenti di vita» (n. 59).

Maria, però, non è mero “canale” dell’azione di Dio. È persona e agisce da persona nella storia di Cristo. La troviamo senza dubbio all’inizio della sua vita terrena, ma lei è presente anche in altri momenti chiave, e cioè al suo primo miracolo, poi ai piedi della croce e ancora, secondo Luca, con gli apostoli dopo la risurrezione ad aspettare la Pentecoste. Così lei appare come una persona davvero particolare, che la testimonianza della Scrittura – ricorda l’ARCIC– «invita tutti i credenti di ogni generazione a chiamare “beata”» (n. 30).

Considerando quanto Maria partecipi alla vita di Gesù, e sia in ciò un esempio santo che tutti abbiamo da seguire, la possiamo vedere come modello del cristiano. Ma se lei è tale, appare consona con la Scrittura anche l’idea che Maria raggiunga il compimento di quello che, in realtà, è il piano divino per ciascun essere umano, ovvero la glorificazione; anzi «possiamo persino intravedere in lei il destino finale del popolo di Dio, la condivisione della vittoria del Figlio suo sulle potenze del male e della morte» (ibid.).

Su questa base ARCIC parla di un’escatologia anticipata e, dopo aver ricordato varie altre figure bibliche che hanno sperimentato in sé un presagio della gloria finale (il proto-martire Stefano, Elia e Enoch), afferma che: «All’interno di un tale modello di anticipazione escatologica, Maria può essere vista anche come la discepola fedele pienamente presente con Dio in Cristo. In tal modo, Maria è segno di speranza per tutta l’umanità» (n. 56). La dichiarazione descrive così anche l’Assunta in termini biblici.

La traiettoria di grazia e di speranza, com’è stata vissuta dalla Theotókos, è quindi un percorso che parte dal suo concepimento già sotto l’azione retroattiva dell’unico mediatore Cristo in vista del suo ruolo storico-salvifico, prosegue con la sua chiamata storica ad assumere tale ruolo e si dispiega lungo la sua vita terrena fino al momento conclusivo, quando la pienezza di grazia da lei ricevuta la porta al compimento ovvero alla gloria in cui speriamo per tutta l’umanità.

A partire da queste premesse bibliche e da un loro comune approfondimento si apre quindi per cattolici e anglicani la via alla mutua comprensione.

  I principali contenuti dell’accordo, in sintesi

Nella conclusione, il documento riassume al n. 78 quanto emerso da questo percorso, facendo con parole efficaci queste e ancora altre affermazioni:

«Come risultato del nostro studio, la Commissione offre gli accordi che seguono, che a nostro parere fanno progredire eloquentemente il nostro consenso riguardo a Maria. Affermiamo insieme:

– l’insegnamento che Dio ha preso nella sua gloria la beata vergine Maria nella pienezza della sua persona, in consonanza con la Scrittura, e che ciò può essere compreso solo alla luce della Scrittura (n. 58);

– che in vista della sua vocazione a essere la madre del Santo, l’opera di redenzione di Cristo ha raggiunto Maria “fino in fondo”, nell’intimo del suo essere e nei suoi primissimi momenti di vita (n. 59);

– che l’insegnamento riguardo a Maria nelle due definizioni dell’assunzione e dell’immacolata concezione, compreso all’interno del modello biblico dell’economia di speranza e di grazia, può dirsi consonante con l’insegnamento delle Scritture e le antiche tradizioni comuni (n. 60);

– che tale accordo, qualora venisse accettato dalle nostre due comunioni, collocherebbe in un nuovo contesto ecumenico le questioni riguardo all’autorità che sorgono dalle due definizioni del 1854 e del 1950 [i due dogmi cattolici mariani] (nn. 61-63);

– che Maria ha un permanente ministero a servizio del ministero di Cristo, nostro unico mediatore, che Maria e i santi pregano per tutta la Chiesa e che la prassi di chiedere a Maria e ai santi di pregare per noi non è divisiva della comunione (nn. 64-75)».

È necessario, però, dire che queste conclusioni risuonano diversamente nelle due Chiese. Per gli anglicani, nonostante che i due dogmi siano in consonanza con le Scritture, è pure chiaro che non vi si trovano esplicitamente, e questo vale in particolare per l’Assunta. Essi si chiedono pertanto «se tra le condizioni di un futuro ristabilimento della piena comunione sarà loro richiesto di accettare le definizioni» (n. 63). Per ora, infatti, un anglicano può liberamente aderirvi, ma ciò non gli è richiesto per fede. Per i cattolici invece sarebbe «difficile immaginare un ristabilimento della comunione nel quale l’accettazione di determinate dottrine sarebbe richiesta agli uni e non agli altri» (ibid.).

Pur con questa necessaria precisazione, l’accordo fra anglicani e cattolici su Maria ha del sorprendente. Apre una strada impensata da percorrere insieme.

Callan Slipper

 

1) Maria: grazia e speranza in Cristo, n. 46.

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