Gratteri e la rinascita della Calabria

Una riflessione dal movimento “Reggio non tace” dopo la grande operazione che ha messo in evidenza la pervasività del fenomeno ‘ndranghetista e i legami con la massoneria deviata. Il riscatto possibile di un Sud depredato dalle mafie, da dove i giovani partono a migliaia per motivi di studio o lavoro e spesso non vi fanno più ritorno
AP Photo/Riccardo De Luca

In questi giorni ci troviamo a riflettere sull’operazione “Rinascita” coordinata dal procuratore Gratteri contro la cosca Mancuso di Limbadi (VV), un lavoro frutto di anni d’indagini, 3000 uomini delle Forze dell’ordine impiegati, 334 arresti, fra questi anche un noto politico (cinque volte deputato), un sindaco (presidente dell’Anci), pezzi di Stato e tanti altri. La data del blitz è stata anticipata di 24 ore per temuta fuga di notizie.

Penso che vada letta come un’occasione di speranza per il territorio, non solo calabrese ma nazionale. L’impegno rinnovato delle istituzioni sane ha portato la cittadinanza calabrese a riscoprire la fiducia in uno Stato che dimostra di voler liberare il territorio dall’oppressione criminale che ne condiziona l’azione e ne limita lo sviluppo. Oggi abbiamo acquisito più consapevolezza in materia di ‘ndrangheta e questa significativa operazione ci interroga profondamente.

Da tempo i vertici delle procure di Reggio Calabria e di Catanzaro ci mettevano in guardia sulla capillarità della ‘ndrangheta, organizzazione unitaria che muovendo dalla Calabria ha infiltrato tutto il territorio nazionale, anche in alleanza ad altre espressioni di criminalità organizzata. Questa nuova inchiesta costituisce una risposta concreta dello Stato ma, nel contempo, chiama in causa tutta la società civile, cittadini e specifiche realtà, perché il problema va affrontato insieme, in un’ottica di collaborazione e coalizione fra nord e sud, che ne rafforzi i legami e tracci progetti comuni. Non basta più condividere le analisi, occorre costruire proposte concrete al fine di supportare il lavoro repressivo, con una presa di coscienza forte e con conseguenti azioni capaci di determinare cambiamenti radicali.

Gli affari della ‘ndrangheta – lo abbiamo sentito – interessano quasi il 4% del PIL nazionale. Le cosche accumulano capitali ottenuti da operazioni illegali – quali la gestione del mercato della droga, lo smaltimento illecito dei rifiuti, gli appalti pubblici, l’azzardo, le estorsioni ed altro ancora – unitamente a quelli provenienti dai reati fiscali e dall’evasione (risparmiando proprio sui costi della legalità e della sicurezza) e investono sul mercato.

Alle imprese servono fonti di finanziamento. Accettare un simile scambio costituisce per gli imprenditori un vincolo da cui sarà sempre più difficile distaccarsi, classico anticamera di usura ed altri tipi di condizionamento, rende schiavi. Possiamo, anzi dobbiamo divenire portatori di un messaggio di rifiuto di dette logiche, di denuncia delle illegalità per sostenere con maggiore forza gli imprenditori che scelgono la via corretta.

Anche per la politica, l’operazione, ha confermato l’attualità sempre più pesante del fenomeno del voto di scambio ottenuto da politici privi di scrupoli che, pur di garantirsi risultati elettorali, non esitano a pagare mazzette ad uomini delle cosche. Nell’ambito di quest’operazione, ne abbiamo avuto esempi concreti. La ‘ndrangheta non ha ideologie e colore politico: sta dovunque ci siano interessi, ormai non si limita neanche a far eleggere uomini corrotti che devono “restituire” favori in un’ottica di scambio – oggi perseguito come reato – ma addirittura accede direttamente, per occupare cariche pubbliche, candidando i propri esponenti nelle liste della politica.

Ecco perché va prestata la massima attenzione sia nella scelta di coloro che si candidano per divenire rappresentanti del popolo, nella frequente cecità dei partiti, sia, ancora una volta, di tutti noi cittadini che nell’esercizio del voto libero e di coscienza, possiamo contribuire di fatto alla costruzione del bene comune. Il risultato elettorale, infatti, è frutto di ogni singolo voto, vi concorriamo tutti.

Nella recente inchiesta, è emerso anche il ruolo centrale di vari soggetti iscritti alla massoneria. Così come la facile e compiacente collaborazione offerta da ampie fasce di professionisti, commercialisti e legali, prestati o servili alle organizzazioni criminali. Non solo, oggi le cosche avviano i propri migliori figli agli studi più qualificanti, così da consentire una gestione diretta dei propri affari. Magari facendo pressioni per l’assunzione presso una struttura ospedaliera di un giovane medico, figlio di capo ‘ndrangheta. O ricorrendo, in caso di problemi a superare un esame, alla disponibilità finanche del Rettore dell’Università prescelta. Proprio come sembrerebbe aver fatto la figlia del boss Mancuso.

Infiltrati o con diretti rappresentanti, gli uomini delle cosche, riescono a gestire appalti e fondi pubblici indirizzandoli ai loro interessi invece che al bene comune. Ed i risultati si vedono specie al Sud, in una terra martoriata dalla cattiva gestione e dall’assenza di trasparenza, dove spesso si fa fatica ad intravedere il risultato dell’uso dei fondi europei che avrebbero dovuto riequilibrarne il livello, con servizi ridotti al minimo se non inesistenti.

Un Sud depredato dalle mafieda dove i giovani partono a migliaia per motivi di studio o lavoro e spesso non vi fanno più ritorno. Con gran pena per le famiglie, private degli affetti più cari, ma anche a scapito della crescita culturale che solo una popolazione nuova e rigenerata, con offerta generosa di idee e competenze, ricambio alle precedenti generazioni, può apportare al territorio. Per non citare l’ulteriore impoverimento economico ed il mercato immobiliare in fase di stallo e senza prospettive di ripresa.

Ecco, davanti a tutto questo non è proprio possibile continuare a stupirsi, parlare di “show” discutibili di alcuni magistrati, né tantomeno ridurne la portata dell’attività svolta per non assumersene fino in fondo le conseguenti responsabilità. Ieri non conoscevamo bene i retroscena, oggi siamo informati e preparati, e non possiamo consentirci semplici analisi di circostanza, vanno messe in campo chiare scelte in sostegno di chi si impegna giornalmente per far emergere e sconfiggere un fenomeno che ormai ha portata nazionale e non solo locale.

È il tempo di fare la propria parte – in Calabria in particolare – per modificare le cattive abitudini, per rinunciare ad incarichi “agevolati” o di comodo, per dire dei “no”, per promuovere occasioni di sviluppo, per esporsi in prima persona senza lasciare che altri facciano per noi.

Ed è stato proprio il procuratore Gratteri, dopo l’operazione “Rinascita”, ad invitare la parte sana della popolazione ad occupare gli spazi liberati. Un invito che ci era stato rivolto già dal procuratore Bombardieri e dal procuratore Nazionale Cafiero De Raho.

Anche la Chiesa non esita a spronarci all’impegno diretto, per essere parte attiva e visibile di cambiamento. Il vescovo di Reggio Calabria, Giuseppe Fiorini Morosini, ha proposto quale tema centrale dell’anno pastorale la cittadinanza attiva e responsabile e l’impegno politico, mentre il presidente della Conferenza Episcopale Calabra,  Vincenzo Bertolone, ci ha augurato di tornare a vivere da uomini liberi. Il tempo è ora!

Maria Laura Tortorella è componente, fin dal suo inizio, del Movimento Reggio Non Tace che il 3 gennaio 2010 promuove un incontro pubblico  nella città di Reggio Calabria a 10 anni dall’attentato alla Procura di Reggio Calabria

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