Gli effetti di un “canal”

L’anniversario dei primi uomini sulla Luna ha riacceso l’interesse sulla ben più ambiziosa missione spaziale umana su Marte, prevista nel 2033. Ma già tra fine '800 e inizi '900 il Pianeta Rosso aveva fatto parlare di sé uomini di scienza e ispirato narratori

Chi avrebbe immaginato che da un banale errore di traduzione sarebbe nato uno dei primi romanzi fantascientifici, La guerra dei mondi dello scrittore britannico Herbert George Welles? L’errore fu aver tradotto con l’inglese canal al posto di channel il termine italiano canale, usato dall’astronomo Giovanni Schiaparelli in due articoli scientifici del 1893 e 1895 per definire le strane linee regolari osservate sulla superficie del pianeta Marte, linee che egli riteneva di origine naturale. Sarebbe stato quindi più appropriato usare channel al posto di canal, che invece indica un condotto artificiale. L’equivoco suscitò un vivacissimo dibattito, non solo nel mondo scientifico: dunque sul Pianeta Rosso, che si riteneva freddo, desolato e inospitale, potevano esistere o essere esistite creature intelligenti? Non ci voleva altro per stimolare l’insegnante di scienze che era Wells a dedicare a Marte e ai suoi supposti abitanti un saggio scientifico del 1896, in cui anticipava molte idee che si ritrovano nel suo romanzo del 1897, pubblicato a puntate sulla rivista londinese Pearson’s Magazine e raccolto poi in volume l’anno seguente, romanzo dove nel primo capitolo è citato espressamente Schiaparelli.

L’argomento era piuttosto accattivante: per la prima volta veniva narrata uninvasione aliena della Terra ad opera appunto dei marziani, in cerca di un pianeta più abitabile. Grazie alla loro tecnologia decisamente superiore e alle loro armi distruttrici simili a un raggio laser, i primi marziani arrivati all’interno di capsule cilindriche cominciano a invadere l’Inghilterra e a far terra bruciata davanti a loro, invano contrastati dalle truppe terrestri. Sarà dunque prossima la fine della nostra civiltà? No, per fortuna. Non saranno gli uomini ad aver ragione degli invasori, descritti come creature mostruose e crudeli dagli istinti cannibalici, bensì i batteri presenti nell’atmosfera terrestre alla cui azione gli organismi alieni non sono preparati.

La guerra dei mondi è un romanzo che si presta a diversi livelli di lettura. Riflette la teoria evoluzionistica di Darwin, di cui Wells era un forte sostenitore, e la critica dell’autore al colonialismo europeo, che tante rovine e stravolgimenti ha apportato in aree del mondo considerate meno evolute: proprio come hanno fatto i marziani. Non solo: le vivide descrizioni della devastazione apportata dagli invasori negli habitat naturali della terra sono diventate stimolo per gli attivisti dell’ecologia e dei diritti degli animali.

Ho letto il romanzo nell’edizione integrale recentemente apparsa nella collana Gulliver della Edb: a distanza di oltre 120 anni dalla sua pubblicazione, non ha per niente perso smalto, grazie all’abilità di Wells nel tenere il lettore col fiato sospeso e nel descrivere il dilagare del terrore marziano dapprima fra gli abitanti di Woking, costretti ad un esodo dal loro tranquillo villaggio nella contea del Surrey, dove sono atterrate le prime astronavi, poi nella stessa Londra, dopo l’arrivo delle successive nell’Inghilterra meridionale. Memorabili le scene di panico nella metropoli per l’imminente dilagare delle orde aliene e quando, spopolata e piena di rovine, viene percorsa dal protagonista senza più speranza di rintracciare la moglie. Abituati come siamo oggi, in certi film, ad un eccesso tale di effetti speciali che più nulla può sorprenderci, l’arte letteraria di uno scrittore che col solo strumento della parola è capace di evocare scenari apocalittici e suscitare sentimenti può ancora emozionarci.

Oggi una scultura metallica nel centro di Woking ricorda i cosiddetti Tripodi del romanzo, cioè le gigantesche macchine da combattimento costruite dai marziani per invadere la terra.

Una curiosità: il 30 ottobre 1938 gli ascoltatori statunitensi del programma radiofonico Mercury Theatre on the Air, che proponeva brani musicali alternati a letture in stile giornalistico di opere letterarie, entrarono in panico quando le trasmissioni musicali vennero improvvisamente interrotte dall’annuncio, fatto dal 23enne attore e regista Orson Welles, che i marziani stavano per invadere la Terra: era, la sua, una lettura realistica della Guerra dei mondi, di cui però l’adattamento fatto da Howard Kokh aveva spostato tempo e ambientazione negli Stati Uniti dell’epoca. I giornali amplificarono la notizia e dovette intervenire la polizia. L’equivoco, peraltro presto chiarito, rivelò l’enorme potenziale di suggestione della radio e di fatto diede inizio alla brillante carriera cinematografica di Orson Welles.

La guerra dei mondi ha ispirato a sua volta tutta una serie di opere letterarie, cinematografiche e musicali. Per limitarci alle prime e all’Italia, non è escluso che la prima edizione nella nostra lingua, quella Vallardi del 1901, sia stata letta dal nostro Emilio Salgari, sempre attento alla produzione fantastica e avventurosa straniera, diventando tra le fonti dell’unico suo romanzo avveniristico, Le meraviglie del Duemila, pubblicato nel 1907 ma già scritto, sembra, nel 1903. Nel racconto che vede i due protagonisti James Brandok e Toby Holker sottoporsi ad un processo di congelamento che li vedrà proiettati, al loro risveglio dopo cento anni, nella società totalmente trasformata del Duemila, Salgari cita Schiaparelli e descrive i canali di Marte come opera dei martiani (li chiama così), diffondendosi  in dettagli sul Pianeta Rosso e i suoi abitanti: creature anfibie che a differenza di Wells non hanno velleità conquistatrici ma comunicano con i terrestri grazie a un’avanzata telegrafia aerea e ad un cifrario concordato. Lo stesso Holker scambia messaggi col suo amico martiano Onix, un <<mercante di pesce che si duole sempre di non poter farmi assaggiare le gigantesche anguille che i suoi pescatori prendono nel canale d’Eg».

Con l’immagine bonaria degli abitanti di Marte proposta da Salgari si chiude questa breve rassegna sugli effetti di canal al posto di channel.

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