Gli angeli del Mediterraneo

Nei giorni scorsi si è verificata una nuova tragedia del mare, con tantissimi immigrati morti per il freddo. Serve forse un atto di coraggio per abbandonare il programma "Triton" e tornare a "Mare nostrum"? Una riflessione
Carri funebri a Lampedusa per gli immigrati morti

Qualche settimana fa l’Europa si è fermata nel dolore e nell’unità dei popoli, di fronte alla tragedia di 20 persone uccise da terrorismo islamico al cuore dell’Europa stessa. Nei giorni scorsi le agenzia hanno battuto la notizia di una nuova immensa tragedia nel Mediterraneo, vicino alle nostre coste: per alcuni ci sono trecento, per altri si sale a quattrocento, morti, uccisi dal freddo e dal mare nel viaggio verso un futuro degno.

Le due tragedia hanno molto in comune, perché hanno il loro fondamento nella distruzione del Mediterraneo come mare di pace. Le molte guerre che lì si combattono sono il frutto spesso di iniziative politiche avventate, che hanno moltiplicato la violenza in tutto il mare, dalla Libia alla Siria.

Lì convergono piste che vengono dai terreni di conflitto del corno d’Africa e dal centro Africa e che sono attraversate da chi cerca un futuro, che non sia la morte. Verrebbe da dire “gli scarti” dell’Africa, ingannati e spinti ad emigrare per cercare futuro.

Non ci si può assuefare a queste tragedie, la loro misura è indicibile e senza limite. La politica non può trasformarsi in cinismo verso i poveri, perchè se l’Europa scarta i poveri è destinata a perire essa stessa,perdendo la sua vocazione e la sua anima.

Già sono iniziati i distinguo della politica: è un problema nostro o è un problema dell’Europa? Bisogna ritornare a Mare nostrum, gestito dall’Italia, o è sufficiente Triton, gestito dall’Europa? Il problema è la Libia o il problema siamo anche noi, noi italiani e noi europei?

Era prevedibile questa tragedia con il freddo e il mare forza 7,o ci ha sorpresi, nell’usare più pesi e più misure? In realtà le venti persone uccise a Parigi hanno avuto un peso specifico maggiore degli africani, che muoiono nel Mediterraneo e le piazze del Mediterraneo non si sono riempite per il dolore provocato da questa ultima strage. Neanche una veglia di preghiera, per coloro che sono periti senza nome e senza volto nelle acque gelide del nostro mare.

Ci siamo commossi davanti al dolore innocente o abbiamo preferito trarci fuori dal dramma,  con qualche abile giustificazione politica? Ci inginocchiamo davanti alle vittime o preferiamo semplicemente cambiare verso?

Nel luglio del 2013 il papa è andato a Lampedusa. Ha pregato, ha pianto, ha chiesto perdono, ha chiamato l’Europa a vivere la fraternità, a non fare come Caino, che a Dio, che gli chiede conto di Abele, risponde “sono io guardiano del mio fratello?".

Abbiamo accolto questo appello sia sul piano umanitario che su quello politico? In questo anno e mezzo abbiamo fatto tutto il possibile per dare una soluzione politica alla Libia e al suo confitto interno oppure ci siamo nascosti dietro l’inerzia delle Nazioni Unite? La nostra diplomazia ,formale e informale, ha espresso le sue energie e le sue relazioni migliori o ci siamo contentati di avere l’unica ambasciata aperta a Tripoli?

Il sigillo europeo di Triton, nome un po’ macabro, è stato sufficiente per salvare la gente in mare o quel sigillo è servito solo a nascondere l’ignavia e la mancanza di convinzione dei paesi europei, con meno fondi, con meno mezzi, con un raggio di azione più ristretto?

Il costo mensile di Mare nostrum era 9,3 mln al mese. Quello di Triton  è di 2,9 mln e questo vuol dire meno mezzi, meno uomini e meno risorse nell'azione di salvataggio. È una constatazione prima che un giudizio politico. In questo modo non si disincentivano i migranti e non aumenta l’efficacia dei salvataggi. Dal primo gennaio fin ad oggi gli sbarchi sono cresciuti del 60 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.

Dunque è ragionevole chiedere il ripristino di Mare nostrum, come è ragionevole cambiare passo nella ricerca di una soluzione  alla questione libica. Bisogna forse pensare a un pattugliamento internazionale delle coste libiche, in modo da evitare il ricatto violento dei gruppi terroristi e degli scafisti (speso sono le stesse persone), che lucrano sul businness dei barconi, alimentando così le loro politiche di morte.

È ragionevole chiedere una politica più incisiva ed efficace, che risolva politicamente la questione libica, che anche noi abbiamo contribuito ad accendere con l’uccisione del dittatore e con la frantumazione del sistema politico libico. Gli uccisi di questi giorni sono anche nel conto nostro, che non siamo riusciti a svolgere una leadership in tutta l’area, in nome di piccoli interessi di bottega…

Dice la parabola del Samaritano, che è buono, che di fronte all’uomo violentato lungo la strada non si può tirare diritto, lasciando nell’abbandono chi rappresenta al tempo stesso il figlio di Dio e il figlio dell’uomo. Bisogna prendersi cura del suo soffrire, farsi prossimo a lui, che sta lì, violato, sulla strada…

Prendersi cura e farsi prossimo: ecco le due grandi linee della politica della fraternità, che dovrebbe guidare una azione politica e lungimirante. Certo non possiamo chiudere gli occhi e far finta che quello che accade è già accaduto ed accadrà ancora.

Un buon leader sa che la politica è la frontiera dell’impossibile: rendere possibile l’impossibile. Non è un atto eroico, ma è quello che hanno fatto in Libano, in Giordania, in Turchia (hanno accolto complessivamente tre milioni di persone). Hanno ospitato i profughi dalla guerra della Siria e dell’Irak, hanno messo i ragazzi nelle stesse scuole e hanno diviso il pane per vivere, mentre noi cerchiamo sempre di lavarcene le mani, di allontanarci dalle responsabilità, di avere buona coscienza. In questo anche se giovani, percorriamo la vecchia politica.

Si dice nella lettera agli ebrei che, quando gli stranieri bussano alla vostra porta, bisogna aprire perché potrebbero essere degli angeli. E noi li abbiamo visti a Lampedusa, alcuni schiacciati dal freddo, altri semplicemente sepolti in una bara. Il loro sguardo, al tempo stesso dal cielo e dalla terra, è giudizio su di noi, sulla nostra vita, sulle nostre politiche.

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