GKN tra minacce di licenziamenti e nuove proposte

Nella vertenza della GKN di Firenze, l’azione decisa dei lavoratori e il sostegno della società civile hanno fermato, finora, il licenziamento collettivo deciso dal fondo britannico Melrose. Si tratta ora sulle proposte di soluzione con progetti elaborati dal collettivo di Fabbrica con l’aiuto di esperti dell’università Sant’Anna di Pisa e ipotesi di soluzione avanzate dall’advisor scelto da GKN. Resta ferma al palo la legge anti delocalizzazione
GKN Manifestazione lavoratori Foto Cecilia Fabiano/ LaPresse

GKN di Firenze. La resistenza dei lavoratori alla chiusura della loro fabbrica, ex Fiat e ora controllata da un fondo finanziario britannico, costituisce un caso che si distingue da centinaia di altre crisi aziendali destinate fin dal principio a chiudersi con gli incentivi all’esodo e il ricorso alla cassa integrazione concordato con i sindacati.

Stavolta, a cominciare dalla prima comunicazione giunta inaspettata e irrituale (con una mail) in piena estate, i 422 dipendenti hanno opposto, senza cedimenti e divisioni, una forte volontà di non accettare la decisione della proprietà di delocalizzare la produzione in Polonia o altro Paese Ue dell’ex blocco sovietico.

Anche il territorio, inteso come società civile e istituzioni, non è rimasto inerte ma si è schierato a fianco dei lavoratori e delle loro famiglie. Una comunità di persone che coinvolge anche le decine di addetti alle mense e altri servizi. Segnali di solidarietà sono arrivati da molte parti d’Italia anche con versamenti alla cassa di resistenza aperta su un conto bancario come accade nei momenti di emergenza che fanno riscoprire storiche forme di mutualismo.

A settembre il tribunale del lavoro ha revocato il licenziamento collettivo per comportamento antisindacale della GKN (violazione articolo 28 Statuto dei Lavoratori) ma all’avvicinarsi del periodico critico di fine anno, come spesso accade, si preannuncia una nuova procedura di licenziamento collettivo che si presume sarà impeccabile dal punto di vista formale. Lo studio legale che assiste i vertici della società britannica si è anche vantato sui social, con un post rimosso velocemente, di aver ricevuto un premio come miglior giuslavorista dell’anno per l’attività svolta a servizio del cliente GKN.

C’è tuttavia, a Campo Bisenzio, un fattore specifico che sia il fondo inglese che molta politica italiana sembrano ignorare e cioè la volontà da parte dei lavoratori di rivendicare un controllo sulla fabbrica che ritengono a loro appartenente non per il rapporto di dipendenza esistente con la Gkn e prima ancora con la Fiat.

È la competenza professionale e la capacità lavorativa a costituire il titolo che li abilita a proporre di utilizzare i macchinari esistenti, introdotti grazie agli incentivi del programma Industria 4.0, per una gestione autonoma e indipendente della produzione nel segno della transizione ecologica. Anche per finalità diverse dal settore automobilistico che finora si è retto in gran parte con le commesse da Fca, ex Fiat ora confluita in Stellantis. Una prospettiva che richiede l’investimento della mano pubblica, l’interessamento delle società già esistenti a tal fine e controllate dallo Stato (Invitalia) nonchè il coinvolgimento del mondo della ricerca.

A quest’ultima componente hanno già pensato alcuni ricercatori universitari della Scuola superiore del Sant’Anna di Pisa che stanno lavorando assieme ai lavoratori interessati per nuovi processi di industrializzazione del sito. Allo stesso tempo altri giuristi esperti in economia e lavoro hanno prestato la loro competenza per elaborare, sempre assieme al collettivo GKN, una proposta di legge nazionale anti delocalizzazione presentata in parlamento grazie a due ex esponenti del M5S, la deputata Yara Ehm e il senatore Matteo Mantero. Il testo prodotto è molto più esigente di quello ipotizzato dal ministero del Lavoro che, tra l’altro, è già stato, fortemente criticato da Confindustria perchè renderebbe, a parere di Carlo Bonomi, l’Italia meno attrattiva per i capitali stranieri.

Si affrontano quindi visioni radicalmente diverse sulla gestione di un caso emblematico, in tempo di pandemia tra l’altro, per il futuro della nostra industria perchè i lavoratori pretendono di esercitare un ruolo decisivo sul come, cosa e per chi produrre. Una materia che rientra nelle trattative in corso con il Governo e che sta vivendo molti momenti di forte tensione dopo le avvisaglie di una nuova procedura di licenziamento collettivo da parte della GKN che punta ad affrettare i tempi per liberarsi dello stabilimento, prelevare i macchinari esistenti e spostare la produzione all’estero. Un percorso che sarebbe facilitato dall’individuazione da parte di un advisor (consulente ad hoc) nominato dalla stessa GKN di altri soggetti imprenditoriali disposti a rilevare la fabbrica e mantenere i posti di lavoro. Ma sono troppi i casi simili, in particolare in Toscana con la ex Electrolux di Scandicci, di soluzioni annunciate e poi fallite una volta terminato lo spostamento della produzione.

Per questo motivo il portavoce del collettivo GKN Dario Salvetti chiede alcune chiare garanzie: «prima si discuta del piano di continuità produttiva e occupazionale, del mandato di vendita che GKN ha dato al suo advisor. Tutto ciò avvenga sotto la supervisione del Ministero, di Invitalia, delle organizzazioni sindacali e dell’assemblea permanente dei lavoratori. Chiediamo che chi arriva mantenga lo stesso patrimonio di diritti conquistati in questi anni e gli stessi livelli occupazionali».

L’advisor scelto da GKN è Francesco Borgomeo, imprenditore noto per aver rilevato nel frusinate, tramite le società Saxa Gres e Saxa Grestone SpA, due fabbriche destinate a chiudere (la Marazzi di Anagni e l’Ideal Standard di Roccasecca). Borgomeo avrebbe ipotizzato un processo di reindustrializzazione nel settore farmaceutico e in quello delle componenti per le energie rinnovabili.

Parte da una diversa prospettiva la proposta per il futuro di Gkn annunciata da Dario Salvetti per poter tenere assieme «un piano per la nazionalizzazione con una prospettiva concreta di reindustrializzazione del sito produttivo con la creazione di un polo pubblico per la mobilità sostenibile».  A tal fine è già fissato un incontro operativo con esperi dell’Universita per sabato 5 dicembre. Come afferma Maria Enrica Virgillito, ricercatrice in Economia politica dell’istituto di Economia della Scuola Superiore Sant’Anna,  si tratta di «strutturare un nuovo modo di immaginare e realizzare un percorso di politica industriale in Italia. Affinché GKN non sia l’ennesima crisi da delocalizzazioni ma l’avvio di un nuovo corso del “fare” politica economica per la collettività».

La reazione immediata dei lavoratori della GKN, che sono scesi in piazza a Firenze, ha portato, intanto, nella serata del 2 dicembre, ad un incontro interlocutorio via web con il Ministero dello Sviluppo Economico convocato dalla viceministra Todde: un tavolo dove hanno partecipato il rappresentante dei lavoratori Gkn, le organizzazioni sindacali di categoria, Invitalia, Francesco Borgomeo, Andrea Ghezzi a nome di GKN, Regione Toscana, i comuni di Firenze e di Campi Bisenzio.

Resta comunque il ritardo nella definizione di un normativa efficace contro le delocalizzazioni che intervengono pesantemente sulla nostra economia come testimonia il recente caso della bergamasca Evoca, controllata dal fondo statunitense Lone Star, che ha deciso di chiudere, a Gaggio Montano nell’appennino bolognese, una fabbrica (la SaGa Coffee) spostando la produzione di macchine per il caffè espresso in Romania, lasciando senza lavoro 220 dipendenti, prevalentemente donne, in un territorio sottoposto a impoverimento e spopolamento.

Un caso come molti altri che dimostra l’importanza politica e sociale di quanto avviene intorno alla Gkn di Campi Bisenzio.

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