“Gis”, una vita per Chiara

La presidente dei Focolari così ricorda, per i lettori di Città Nuova, Gisella Calliari, fra le focolarine della prima ora, che ci ha lasciato ieri sera

Non è facile dire qualcosa su “Gis” – così chiamavamo Gisella Calliari -, anche se sono stata con lei per vent’anni a partire dall’88. All’epoca ero in Turchia, e Chiara mi ha chiamata a Rocca di Papa perché appunto Gis aveva bisogno di qualcuno che la aiutasse nel lavoro che lei svolgeva per il Movimento e per Chiara stessa. Sono stati vent’anni in cui abbiamo condiviso tante cose: gioie, dolori, vacanze insieme, cure termali. Io non ero nel suo focolare, ma lei sapeva che poteva contare su di me, mi poteva chiamare in qualsiasi momento; e tante volte siamo appunto andate fuori insieme per le vacanze o per le cure. Sono stati momenti di famiglia, di vita semplice, spontanea.

La cosa che ho notato sin dal primo momento in cui sono arrivata è che lei viveva per Chiara: e vivere per Chiara significava che non esisteva niente di quello che lei faceva che non fosse in funzione di Chiara. Per cui anche nel suo lavoro – e tante volte erano cose importanti da sbrigare, problemi da risolvere – bastava che Chiara passasse – lavoravamo nello stesso piano – e dicesse «Gis, vieni?». E lei come niente fosse, in qualsiasi momento del lavoro si trovasse, chiudeva la cartella e diceva «Sì, Chiara!», ed era pronta. Io mi dicevo: «Avrebbe potuto almeno chiedere che le lasciasse finire ciò che stava facendo», ma questo per lei non esisteva. E ho visto questo tantissime volte.

Poi, quando Chiara era fuori – magari si trovava a qualche chilometro di distanza in vacanza al mare –, lei andava a portarle il frutto del lavoro fatto durante la mattina e io l’accompagnavo. Andava lì all’ora di pranzo, perché era l’unico momento disponibile, e tante volte neanche mangiava. Chiara subito le domandava com’era andata, lei si immergeva in ciò che le veniva chiesto; e quando Chiara diceva: «Basta, abbiamo finito, puoi andare», lei neanche diceva «non ho pranzato»; Chiara aveva detto di andare, si andava, e magari si prendeva qualcosa al rientro a casa.

Oppure ricordo di quando sono andata con lei in vacanza all’isola d’Ischia: non so per quale motivo, ad un certo punto non è più riuscita a rimanere a galla. Io ero a pochi passi da lei, ma non ho potuto fare nulla. L’hanno presa, l’hanno portata a riva, ma stava male: ho visto veramente la morte davanti ai miei occhi, è stato un momento tragico. In quel periodo altri dei primi compagni e compagne di Chiara erano morti. Per cui mi dicevo «No, non è possibile, questo no!». L’abbiamo portata in ospedale, ma da subito il suo pensiero è stato chiedere se Chiara sapeva, cosa aveva detto. Quando ha saputo che sulla spiaggia c’era stato un medico che l’aveva subito soccorsa, ha affermato: «Dio non voleva dare questo dolore a Chiara; ha voluto lasciarmi qui perché lei mi avesse ancora». Insomma, tutta la sua vita era per Chiara, non le interessava vivere o morire.

Certe volte mi chiedeva di preparare una lettera di aggiornamento che lei spediva alle responsabili del Movimento nel mondo; allora io cercavo di raccogliere tutto ciò che era successo in quel periodo. Poi lei rileggeva e diceva: «Questo già lo sanno, questo non è essenziale»; per cui alla fine la lettera si riduceva ad una paginetta, in cui lei trasmetteva solo quello che era la vita di Chiara.

Nello stesso tempo però si sentiva che il suo rapporto con Chiara non era una sorta di culto della personalità o di attaccamento morboso, ma un qualcosa che la portava direttamente a Dio. Per cui per lei è stato un momento tragico quando si è accorta che Chiara non stava più bene. Quando Chiara, nell’ultimo periodo della sua vita, si è ritirata in Svizzera, Gis per due anni non l’ha vista. E quando dopo le è stato possibile andare a trovarla in Svizzera e l’ha vista in quelle condizioni, è crollata. Da quel momento Gis ha perso buona parte della sua energia, perché ha visto che Chiara non era ormai più nelle condizioni di reggere. E questo per lei è stato veramente un crollo totale della sua forza vitale, l’ho vista quasi morire in quel momento. E in un certo senso l’ho vista rinascere dopo la morte di Chiara, perché ha trovato, in Gesù in mezzo presente nel Movimento, la vita di Chiara. Mentre prima viveva per Chiara, e con Chiara ammalata lei non viveva, quando Chiara è morta lei ha ripreso a vivere. E si è visto fino alla fine che lei ha continuato a dare tutta sé stessa per continuare a far vivere Chiara nel Movimento di oggi.

Penso che Gis mi abbia dato una grande lezione di essenzialità, di radicalità, di fiducia nei disegni di Dio senza nessuna ombra, di unità con le focolarine e focolarini con cui lavorava – e con i quali ricominciava sempre, al di là di qualsiasi difficoltà potesse esserci –, di fedeltà.

I più letti della settimana

Chiara D’Urbano nella APP di CN

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons