I disturbi alimentari e la giornata del “fiocchetto lilla”

Riproponiamo l'intervista a Stefano Tavilla, padre di Giulia, una ragazza morta per la bulimia. La sua storia ha contribuito a rilanciare la battaglia contro i disturbi del comportamento alimentare e a trasformare la tragedia di una famiglia in un’occasione di aiuto per gli altri.

Aveva deciso che voleva vincere, Giulia. Che voleva uscire da quella prigione, tornare libera e ritrovare se stessa. Vivere appieno quei suoi 17 anni che non sarebbero più tornati. E vivere appieno tutti quelli che sarebbero venuti dopo. Vivere, pienamente. E godere del sole, del mare, del profumo dei fiori, della compagnia degli amici e di un pasto gustoso. Goderne senza pensieri, al cento per cento e lasciarsi “contaminare” dalla Vita. Respirare finalmente, come dando ossigeno ad ogni cellula del suo corpo. E non più torturarlo, quel corpo. Non torturare più la sua anima. Gli ultimi quattro anni, in effetti, erano stati un disastro. Una sofferenza silenziosa che nessuno capiva e dalla quale non riusciva ad uscire. Il fiato spezzato, un respiro che non riempie i polmoni, una catena a terra e la caviglia che sanguina. Mentre in alto nel cielo volano farfalle ma le sue mani protese non riescono a toccarle. Librarsi in volo con loro… un sogno.

Aveva capito, Giulia, dopo tanti rifiuti e tanti scontri, che aveva bisogno di aiuto. E finalmente decise di chiederlo, col sostegno della sua famiglia. Era in lista di attesa per entrare in un centro di cura specializzato per i disturbi del comportamento alimentare. Ma il suo piccolo cuore si è fermato prima. Carenza di potassio, e nella notte, quel 15 marzo 2011, ha smesso di battere. Dormiva Giulia, e forse non si è accorta di niente. Il cielo ormai è tutto suo.

Ma la bulimia non ha vinto. Affatto. Ha vinto Giulia, comunque. Perché suo padre, Stefano Tavilla, un uomo coraggioso, ha deciso di trasformare la tragedia della sua famiglia in un’occasione di aiuto per gli altri. Di salvezza anche. Ha fondato l’associazione “Mi nutro di vita” e da allora non smette di sensibilizzare tutti, dalle istituzioni, agli insegnati, ai medici, ai ragazzi nelle scuole. E ha deciso di dare un nome a questa giornata, chiamandola “Giornata del Fiocchetto Lilla”. È un colore delicato il lilla, come l’anima di tutte le persone che soffrono di disturbi del comportamento alimentare, e che anche grazie al suo impegno e alla storia di Giulia possono trovare la forza di vincere.

 Insieme con la Consult@Noi, che riunisce decine di associazioni che si occupano di disturbi del comportamento alimentare, Stefano Tavilla ha deciso di presentare al Parlamento una proposta di legge per istituzionalizzare a livello nazionale la giornata. Soprattutto per “far sentire meno sole queste persone e le loro famiglie”. E oggi sono oltre cento gli eventi che hanno luogo in tutta Italia. Abbiamo parlato con lui:

Come nasce l’idea di una Giornata Nazionale per la lotta ai disturbi alimentari?
Più che un’idea è stata un’esigenza nata all’indomani della tragica storia che mi ha coinvolto in prima persona con la perdita di mia figlia e per il mio vissuto di genitore. L’aver trovato inadeguatezza nelle informazioni, nella ricerca di una cura, nella condivisione, ha messo in luce la solitudine di chi vive queste malattie , sia chi le vive in prima persona sulla sua pelle, sia i familiari che stanno loro accanto. Così ho voluto cercare un punto comune che desse l’idea di aggregazione. Non che possa cambiare le carte in tavola, perché non è certo una giornata simbolo che può farlo, ma per trovare un punto d’incontro dove almeno in una giornata le persone si possano sentire meno sole.

Perché chiamarla “Giornata del Fiocchetto Lilla”?
Il nome viene da lontano. Quando ho fatto la ricerca sui simboli che potevo dare a questa giornata sono andato a vedere negli Stati Uniti dove da tempo alla ricerca viene abbinato come simbolo un fiocchetto di questo colore. In America esiste già da tanti anni una settimana dedicata ai disturbi del comportamento alimentare ed esiste un fiocchetto simile chiamato “pervincius”, io l’ho solo trasportato in un italiano più accattivante usando il colore lilla.

Non se ne parla mai, ma quanto sono diffusi i disturbi alimentari? 
Purtroppo sono molto diffusi, non mi vergogno a dire che ci troviamo di fronte ad una epidemia sociale silenziosa. In Italia i dati del ministero della Salute che risalgono al 2012 parlano di 3 milioni di persone, a cui va collegato come minimo un familiare, quindi il dato viene raddoppiato. Sono numeri importanti che non possono restare nel silenzio.

Diceva che la conoscenza e l’informazione su queste patologie sono ancora insufficienti. Cosa si aspetta dalla politica?
Mi aspetto che venga fatta una programmatica campagna di sensibilizzazione che parta dalle scuole e soprattutto anche con i medici di base e i pediatri che sono i primi che si trovano di fronte al riconoscimento di tali malattie, e una campagna di informazione anche per le famiglie, che talvolta sono impreparate e si perde tempo prezioso. Prima si riconosce, prima si arriva alla cura e più facile è uscirne in tempi brevi. Questo chiaramente comporterebbe anche un risparmio per il sistema sanitario.

Centri di cura e terapie sono troppo costosi e per lo più a carattere privato: anche qui lo Stato può fare di più…
Lo Stato può aumentare l’offerta, ci sono regioni che sono completamente sprovviste di centri di cura, parlo di Sicilia, Sardegna, Calabria, Molise. La stessa Roma, che è la capitale, non ha un centro di cura dedicato ai disturbi del comportamento alimentare. Sicuramente visto il numero spropositato di domanda l’offerta dovrebbe salire, però mi piace sempre dire che se vogliamo avere meno casi da curare domani dobbiamo partire dal basso, dalla prevenzione e dall’informazione.

In che modo può agire concretamente la prevenzione?
Serve informazione. A volte un genitore che vede il figlio preoccupato del peso o che fa una dieta non dà la giusta attenzione a queste cose mentre invece nel giro di pochi mesi la situazione può precipitare. E prevenire vuol dire anche andare nelle scuole sportive dove alla cultura sportiva viene spesso associata una cultura del corpo e del peso. Prevenire vuol dire fare la giusta cultura. Ancora oggi passa spesso lo stereotipo per cui l’anoressia (parlo di anoressia perché socialmente è quella più evidente, ma il rovescio della medaglia è l’aspetto del mangiatore compulsivo oppure quello invisibile socialmente del bulimico che si può protrarre per tanti anni e può vivere accanto a noi senza che nessuno se ne accorga) è definita un vezzo, un capriccio, e la ragazza che è malata lo è perché vuole fare la modella o la ballerina. Non è così, è una malattia dell’anima, e va gestita in tutt’altro modo.

Cosa direbbe a ragazzi e ragazze che vivono questo problema?
Mi sento di dire solo “chiedete aiuto, è l’unica maniera per uscirne fuori”. È a chi gli sta accanto mi sento di dire solo “date fiducia a queste persone perché hanno solo bisogno di fiducia e di ascolto.

Oggi arriva in Parlamento la proposta di istituire per legge la giornata del 15 marzo come Giornata Nazionale del Fiocchetto Lilla. Il ruolo delle istituzioni si conferma decisivo..
Abbiamo avviato questo iter parlamentare  affinché il ministero della Salute effettivamente inizi a farsi carico di questo problema. C’è anche un iter ministeriale tramite la Regione Umbria che si è fatta capofila di questa domanda, e da due giorni siamo partiti con una petizione online   su change.org per cercare anche tramite una raccolta firme di spingere per l’istituzionalizzazione di questa giornata che è partita come evento unico creato da me sei anni fa e oggi si tengono più di cento eventi in tutta Italia. Penso che sia davvero l’unica manifestazione che viene dalla gente. E se al contempo è una bella cosa, vuol dire però che anche qui c’è il rovescio della medaglia, ovvero che quei 3 milioni ci sono veramente.

 

 

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