Giacomo Matteotti e la rivolta contro la guerra

Gli inviti inascoltati, la denuncia del legame tra conflitto e potere finanziario. Una testimonianza coerente alimentata dall’intenso rapporto con la moglie Velia  
Mussolini e i ministri fascisti sui banchi del Governo alla Camera ANSA / WIKIPEDIA

Nel 1907 Jack London descriveva ne Il Tallone di ferro, testo di formazione popolare per intere generazioni, il fallimento di ogni guerra futura grazie alla disobbedienza di operai e contadini.

La predicazione socialista contro la guerra “tra fratelli” richiamava una radice cristiana diffusa nelle campagne. Oppositore della “grande guerra” fu in Italia Guido Miglioli, esponente delle leghe bianche dei contadini cattolici.

Gravi cedimenti, invece, verso il “sacro egoismo” nazionale o l’attesa di un mondo migliore, si riscontrarono non solo tra le élite cattoliche, ma anche tra gli stessi esponenti socialisti, anarchici e repubblicani, in una strana alleanza con nazionalisti, nobili, industriali e grande borghesia.

1924- Giacomo Matteotti parlamentare ANSA/ WIKIPEDIA

Giacomo Matteotti, inviso ai grandi possidenti terrieri, e che pur si definiva “riformista” cioè lontano «dall’idea di poter sostituire di punto in bianco il mondo dei buoni a quello dei cattivi», richiese, invano, alla direzione del suo partito la proclamazione dell’insurrezione contro la guerra.

L’esponente socialista veneto è noto per aver subito il martirio nel 1924, ad opera dei fascisti dei quali aveva denunciato violenze e brogli elettorali, mentre era alla vigilia di un decisivo discorso sulla corruzione del regime e della Corona nelle concessioni petrolifere e nella gestione dei casinò del gioco d’azzardo.

Inviti espliciti al suo assassinio erano già presenti negli anni che precedettero e accompagnarono il primo conflitto mondiale, di cui egli denunciò preventivamente l’inevitabile spirito di rivalsa che avrebbe condotto, in ogni caso, a nuove carneficine.

E quando il trattato di Versailles stabilì condizioni impossibili da rispettare da parte dei vinti, lavorò, come economista, per sostenere le tesi di Keynes intese a ridurre l’insostenibile peso finanziario sulla Germania assieme all’eliminazione dei debiti che i Paesi vittoriosi avevano contratto verso gli Usa e la Gran Bretagna per sostenere lo sforzo bellico.

Questa analisi del legame tra denaro e guerra – si veda la sua richiesta di confisca dei sovrapprofitti di guerra – si accompagnava nel militante laico ad una scelta interiore per la pace testimoniata da una fitta corrispondenza con la sua amata moglie Velia Titta, grande conoscitrice di scritture bibliche, dei padri della Chiesa e del dibattito teologico. Un esempio da seguire da un tempo lontano ma quanto mai attuale.

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