G di gratuità

Rovesciare il nostro modo di vedere. Aprirci all'incontro con l'altro per dare senso compiuto alla Quaresima. Con un brano da “Il profumo delle parabole” di Valentino Salvoldi
Il profumo delle parabole

Operare, agire, essere dono. Chiamati non solo a guardarci dentro ma ad aprirci all'altro in questo tempo di Quaresima, Don Valentino Salvoldi ce lo racconta e spiega con un brano del Vangelo da Il profumo delle parabole edito da Città Nuova che rilegge i passi del Nuovo Testamento con riflessioni attuali ed esempi di vita vissuta.

«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno, e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”.
Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e da’ loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi» (Mt 20, 1-16).
 
È una fortuna credere nel messaggio evangelico e mettere in pratica il discorso della montagna, non è una fatica che esiga una proporzionale monetizzazione. Questo potrebbe essere il messaggio centrale di una parabola che è stata oggetto di tante interpretazioni. Ne elenco alcune.
La parabola mira a illustrare i rapporti religiosi e non quelli sociali, parla di giustizia divina, non di criteri umani.
Il Signore chiama a ogni ora, quando e come crede. Prima o poi chiama tutti, ma non tocca a noi dettare leggi a Dio, sul momento giusto.
Occorre essere sempre vigilanti e riconoscere l’attimo della chiamata: «Temo il Dio che passa».
Bisogna ricordarsi che Dio è giudice severo: «Molti sono chiamati, ma pochi gli eletti».
Anche chi è chiamato alla prima ora può perdersi, come sembrerebbe essere suggerito da quel terribile «Vattene!» che il padrone rivolge al servo invidioso per aver visto gli ultimi trattati come lui, che aveva sopportato il peso della giornata e del caldo.
Pagando per primi gli ultimi, la parabola sottolinea il fatto che Dio cambia la logica umana, capovolge le gerarchie umane: non s’innamora dei ricchi, ma anzi, preferisce i poveri; non si adegua all’ipocrisia dei farisei, ma testimonia con tutta la sua vita la franchezza e la coerenza; sta con i peccatori anziché con i giusti; disprezza i superbi, mentre esalta gli umili.
Dio tratta gli ultimi come i primi, perché sa che non è colpa loro se nessuno li ha presi a giornata, se non hanno doti e qualità evidenti, se sono stati feriti nel loro corpo e nella loro mente fin da bambini, se…
 
Queste interpretazioni rischiano di essere riduttive nel senso che non mettono in evidenza l’illogicità, la gratuità, la sorprendente capacità innovativa del comportamento del Signore. Egli va oltre la mentalità meritocratica. Non viola la giustizia nell’essere buono con tutti. Casomai, va contro la mentalità di chi pensa che a un determinato rendimento debba essere proporzionalmente attribuita una precisa ricompensa.
Cristo vuole essere buono con tutti, per cui suo intento non è quello di abbassare “i primi” (che ricevono quanto è stato pattuito), ma di innalzare “gli ultimi”, come aveva cantato Maria, sua madre, nel Magnificat.
La parabola, quindi, diventa un inno alla gratuità, intonato al Dio folle per amore, che propone riflessioni valide sia per i giusti sia per i peccatori. Entrambe le categorie sono chiamate alla conversione: i peccatori che, sconcertati dalla gratuità del Signore, non possono che abbandonarsi al suo amore, e i giusti che, se così non faranno, rischiano di lasciarsi accecare dai loro presunti meriti, di non vedere che fu un privilegio essere stati chiamati alla prima ora, e di essere immiseriti da una mentalità mondana completamente avulsa dal creativo concetto della gratuità.
 
 

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