Francesco e il primo passo verso la pacificazione

Il tema del perdono ha caratterizzato il viaggio del papa in Colombia, con l'accento posto sul dolore delle vittime delle violenze e sul bisogno di riconciliazione. Un commento.
Papa in Colombia

Si è concluso il viaggio di papa Francesco in Colombia che ha avuto come motto: “il primo passo”. Il pontefice ha operato perché si arrivasse ad un accordo tra le Farc e lo Stato colombiano. Per questo il presidente della Repubblica Juan Manuel Santos ha ottenuto il premio Nobel per la pace. Per questo Papa Francesco, con questo viaggio, ha voluto rafforzare il difficile processo di riconciliazione avviato nel Paese.

Con il suo motto, papa Francesco ha voluto indicare che – ciò che ha inizio – domanda di essere rafforzato spiritualmente e culturalmente. È il passo stesso di Dio che in Gesù si fa prossimo, fino al perdono che consegna e confessa sulla croce: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno”. Gesù è la vittima in espiazione dei nostri peccati. È la vittima che perdona e sta a fondamento della cultura del perdono. Come dice la prima lettera di Giovanni: “Dio ha mandato suo figlio come vittima di espiazione dei nostri peccati”. Ecco Gesù, il passo di Dio.

In Colombia, in questi 54 anni, si è assistito ad una guerra civile, che ha coinvolto la guerriglia, lo Stato con le sue strutture repressive, gli squadroni paramilitari. E la stessa Chiesa è stata attraversata da questo conflitto.

Non è possibile dimenticare la Populorum progressio, enciclica di Paolo VI del 1967, in cui – al punto 31 – si giustifica l’insurrezione armata di fronte ad una tirannia del tutto evidente. Non possiamo dimenticare che diversi preti parteciparono al conflitto. Il più noto è stato padre Camilo Torres, ucciso in combattimento.

La tradizionale e antica teologia della guerra giusta si trasforma in una teologia della lotta armata, che ha una sua presa, soprattutto nella vita dei campesinos e della povera gente.

Proprio a Medellin si celebra la prima grande conferenza dell’episcopato latinoamericano, in cui si cita il punto 31 della Populorum progressio e dove si elabora l’opzione preferenziale dei poveri, riprendendo le parole di Giovanni XXIII sulla chiesa dei poveri.

Negli anni ’70 si sviluppò la dottrina della sicurezza nazionale che trovò consenso anche in ambienti ecclesiali e che elaborava un sistema di governo autoritario, che prese piede in diversi stati latinoamericani, legittimando poteri forti in nome della sicurezza del popolo. Come dire, un populismo autoritario. Cresce una chiesa anticomunista e filoamericana, che umilia i poveri, proprio in nome dell’anticomunismo.

Nel 1978, dieci anni dopo, è convocata l’assemblea dell’episcopato latino americano a Puebla. Nel documento conclusivo sparisce il riferimento alla Populorum progressio, che semplicemente viene omesso, senza cancellarlo. Nella vicenda del vescovo Oscar Romero, assassinato in San Salvador, durante la messa, per le sue denunce contro il regime dttatoriale, la chiesa dei poveri diventa la chiesa dei martiri e il Salvador il segno di contraddizione del Vangelo.

Papa Francesco con il viaggio in Colombia apre una grande questione. Si passa dal tema dei poveri al tema delle vittime. In Turchia nel 2014 il Papa aveva detto che bisogna ascoltare i poveri, le vittime e i giovani. Il primo passo è questo: passare dai poveri alle vittime. L’icona di tutto questo è il Cristo di Bojara, il Cristo amputato, il Cristo fatto a pezzi, venerato nella fede dei poveri e delle vittime. Le vittime sono un numero infinito e indicibile e domandano di perdonare per riconciliare e di riconciliare per perdonare.

Il passaggio è decisivo. Senza un riconoscimento dello statuto di vittima, non nasce una nuova cultura del perdono, non si costruisce il futuro del paese. Non bastano gli accordi, pur necessari e spesso fragili, con il coinvolgimento delle Nazioni Unite e delle organizzazioni internazionali.

Papa  Francesco non cita nei suoi discorsi né la Populorum progressio né Paolo VI, né Medellin né Puebla. Il primo passo ha il suo fondamento nel futuro, nella cultura del perdono, che non nega il passato, ma lo assume e lo include, nasce dai poveri, dalle donne, dai bimbi, dagli anziani, dalle comunità concrete e non dagli esperti, dai tecnici della pace e della politica, abili nello scrivere testi e appunti, ma lontani dal grido del perdono, abili nel fare gli accordi, ma pronti a disattendere il cammino che viene dall’ascolto di chi vive all’ultimo posto.

Spesso si scrivono accordi che rimangono sulla carta, che non hanno al centro le vittime, ma la forza delle organizzazioni che si pongono come intermediarie, piuttosto che servire umilmente i processi. Ci vuole di più e ci vuole di meglio.

Quando Papa Francesco è stato in Corea del Sud ha posto il tema della riconciliazione tra le due società, quella del Nord e quella del Sud, bloccate in una situazione di separazione politica, prima che culturale, sperimentando una divisione che non mostra crepe.

Il Papa in Colombia va incontro alle vittime, alla sequela di  Gesù vittima, dell’innocente amputato, perché nessuno rimanga prigioniero dell’odio, la prigionia delle prigionie, che spezza l’unità interiore delle persone. Per questo chiede a Dio il perdono, per vivere in pienezza il suo ministero di unità e di riconciliazione.

 

 

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