Fine degli Opg tra resistenze culturali e tagli al welfare

La fine degli ospedali psichiatrici giudiziari richiede un servizio di salute mentale capillarmente distribuito sul territorio capace di passare dalla chiusura in luoghi di restrizione all’accompagnamento responsabile di persone finora scartate e impossibilitate a vivere con dignità la loro sofferenza
opg ansa

Nella prima parte dell’articolo già pubblicato si è messo in evidenza la finalità della legge riportando una frase del grande medico psichiatra riformatore Franco Basaglia: «Non è importante tanto il fatto che in futuro ci siano o meno manicomi e cliniche chiuse, è importante che noi adesso abbiamo provato che si può fare diversamente, ora sappiamo che c'è un altro modo di affrontare la questione; anche senza la costrizione».

 

La legge 180 è stata molto criticata perché aveva messo in libertà “i matti”. Ma come disse un malato di un OPG a chi gli chiedeva “quanti siete qui dentro?” rispose “Meno di quelli che siete fuori!” I matti siamo stati noi a non dare attuazione a tutti i presidi che rendevano efficace il provvedimento di chiusura di strutture indegne di una società civile. La legge 180/1978, come la legge 81/2014, prevede cose ben precise: un servizio di salute mentale capillarmente distribuito sul territorio che attraverso percorsi terapeutici e riabilitativi individuali si faccia carico dei malati mentali; delle piccole strutture che garantiscano cura e assistenza senza spersonalizzare il malato; un sostegno effettivo alla famiglia che, nella stragrande maggioranza dei casi, ha sopportato il peso della gestione della malattia.

                Tutto ciò, tra mille resistenze e ritardi, oggi avvia un percorso diverso poiché tutte le regioni sono state chiamate ad attivarsi per gestire il problema. Perciò ad esse sono state destinate apposite risorse finanziarie per individuare a livello regionale piccole strutture di ospitalità, predisporre percorsi di riabilitazione e riqualificazione strutturale dei servizi territoriali.

                Sono state previste, in forza della legge che stabilisce la chiusura degli OPG, circa 40 strutture regionali, la maggior parte delle quali di 20 posti letto ciascuna, e sono stati impegnati 176,58 milioni di euro per la realizzazione delle strutture e la predisposizione dei percorsi terapeutici.

                Questo spostamento di prossimità degli interventi, per le persone alle quali è applicata una misura di sicurezza detentiva, comporta che il territorio: Regioni, Asl e loro strutture, magistratura e comuni elaborino protocolli operativi di collaborazione. E questo anche per stabilire idonei canali di comunicazione ed informazione relative alle persone internate utili ad assumere decisioni rapide e appropriate, che riguardano il destino di esseri umani, superando logiche burocratiche, che in passato tanto hanno contribuito a “dimenticare” e scartare queste persone dal contesto sociale e familiare.

                Per questo ogni persona deve essere presa in carico da parte dell'Asl di riferimento che ha la responsabilità  di presentare i Progetti terapeutico riabilitativi individuali tramite i Dipartimenti di salute mentale in collaborazione e integrazione con i Servizi per le dipendenze, i servizi Sociali, ecc.

I servizi, poi, sono impegnati in funzioni di cura e non hanno competenze di custodia.

                Non si può certo ignorare che ci sono dei casi molto seri e gravi per i quali l’assistenza e la cura si può protrarre per molto tempo. Ma che ciò avvenga in un ambiente rispettoso della dignità della persona è assolutamente urgente e necessario.

                 La legge 81/2014 risolve poi una situazione che a molti sfugge, a motivo della sua tecnicità. A differenza della pena, che è certa nella sua determinazione sia come minimo/massimo che nella concreta applicazione al caso specifico, la misura di sicurezza è determinata nel minimo essendo, teoricamente (ma non troppo), possibile la sua proroga all’infinito per il permanere della pericolosità sociale. Orbene, la legge stabilisce (finalmente!) che le misure di sicurezza non possono durare all’infinito. Esse “non possono durare oltre il tempo stabilito per la pena detentiva prevista per il reato commesso, avuto riguardo alla previsione edittale massima”. Questa norma ha il pregio di fare scomparire i cosiddetti “ergastoli bianchi”. Tuttavia la legge non esclude che il magistrato, ove lo ritenga, al termine della decorrenza dei termini possa applicare al soggetto, se residua una pericolosità sociale, una misura di sicurezza alternativa, quale ad esempio la libertà vigilata.

                Sarebbe infatti irresponsabile abbandonare persone malate. Lo spirito della nuova legge è esattamente quello di non abbandonare nessuno, né in OPG con gli ergastoli bianchi, né tantomeno nel contesto sociale disinteressandosi di persone che hanno bisogno di cure e sicurezza. Dunque, se la legge è applicata correttamente, fare allarmismi circa il rischio di “mettere in circolazione” persone socialmente pericolose è infondato.

                “Da ultimo, la Corte Costituzionale ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell'art. 159, primo comma, del codice penale, nella parte in cui, ove lo stato mentale dell'imputato sia tale da impedirne la cosciente partecipazione al procedimento e questo venga sospeso, non esclude la sospensione della prescrizione quando è accertato che tale stato è irreversibile.

                Si tratta della questione dell’“incapace eternamente giudicabile”, cioè della persona che si trova in condizioni psichiche tali da precluderle di partecipare coscientemente al processo penale che la riguarda, e che in particolare sia afflitta da una patologia tale da risultare, in base alle conoscenze mediche disponibili, non reversibile.

Al fine di garantire il diritto di difesa, com'è noto, la legge impedisce la celebrazione del procedimento e ne impone dunque la sospensione. Tuttavia, proprio tale disciplina implica(va) anche la sospensione della corsa dei termini di prescrizione del reato, in modo che, nel caso di patologie irreversibili, si determina(va) una stasi insuperabile del giudizio, non rimediabile neppure attraverso l'estinzione del reato in base al trascorrere del tempo.

                Ora è stabilito che, accertata la irreversibilità della patologia, la prescrizione riprende la sua corsa, nonostante la sospensione del processo, in modo che almeno possa giovare il decorso di un termine proporzionato alla gravità del reato. Naturalmente, nella speranza che maturi l'intervento legislativo (apertamente sollecitato dalla Corte), al fine di regolare in modo sicuro e razionale la procedura, la giurisprudenza è ora chiamata a “risolvere numerose questioni interpretative e applicative”( Ho conosciuto personalmente un caso all’Opg di Aversa che,  per il suo stato di “incapace eternamente giudicabile” aveva trascorso, più di trent’anni rinchiuso in Opg).

                Dobbiamo essere consapevoli delle difficoltà che ci saranno nell’applicare la legge, dovute ad un contesto difficile – diverse “velocità” tra Regioni, condizioni dei servizi socio sanitari e delle magistrature, contraddizioni o carenze normative, tagli al welfare – e a resistenze anche culturali (come al tempo della legge 180). Per questo è necessario continuare la mobilitazione e dialogare con tutti gli “attori” impegnati nel superamento degli Opg, per sostenerli: operatori dei servizi, magistratura, camere penali/avvocati, associazioni utenti e familiari.

                Come afferma lo psichiatra Marco Bertoli, responsabile del Centro di salute mentale di Latisana (Ud): «Pur non essendosi concentrato sugli Opg, Basaglia ha messo in luce come non è mai la restrizione della libertà che porta a dei risultati, ma un progetto di vita e un accompagnamento del paziente. Penso che nel nostro sistema regionale la cosa più importante anche oggi sia accompagnare le persone che curiamo sui tre assi della vita: avere una casa, un lavoro e la possibilità di socializzare …».

                I casi che provengono dall’OPG possono suscitare sentimenti di paura nell’opinione pubblica e spesso certi politici di corto respiro, cavalcano questa paura per ottenere effimeri risultati che calpestano le sofferenze delle persone malate, delle loro famiglie e delle vittime dei reati. Ma se questi malati trovano una base di fiducia nella comunità che li accoglie hanno molte possibilità di trovare una adeguata collocazione nel contesto sociale.

                Ci sono molti aderenti e simpatizzanti del Movimento dei Focolari che operano nelle strutture alle quali è affidato il compito di predisporre programmi e interventi appropriati alla cura e all’assistenza dei malati di mente autori di reato. Per la sensibilità umana e spirituale di cui sono portatori, essi possono diventare fermento positivo per l’affermarsi della nuova prospettiva e della nuova cultura che la legge di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari richiede: passare dalla chiusura all’accompagnamento responsabile di queste persone fino ad oggi troppo scartate e impossibilitate a vivere con dignità anche la loro sofferenza.

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