Famiglie senza reddito e rischio democrazia

La Banca d'Italia diffonde studi che confermano la forte crisi finanziaria delle famiglie. Perché dobbiamo agire in fretta contro la diseguaglianza
famiglia povera

«Nel 2010 è aumentata al 65 per cento (era al di sotto del 40 per cento nel 1990) la quota di quelli che valutano il proprio reddito inferiore a quello ritenuto necessario». Dopo una serie di grafici e numeri, è questa la sintesi dell'analisi di febbraio 2013 su "Le difficoltà di risparmio nelle valutazioni delle famiglie italiane" certificata dalla Banca d'Italia, nello studio curato da Antonio Bassanetti e Concetta Rondinelli. Si tratta di un lavoro basato sui dati dell'Inchiesta mensile sulla fiducia dei consumatori, condotta sino al 2010 dall'Isae e successivamente dall'Istat.

L'altro dato che balza agli occhi è la conferma relativa alla «quota di famiglie che ritengono di avere effettive possibilità di risparmio»: siamo arrivati a «livelli storicamente bassi», intorno al 30 per cento contro il 50 per cento all'inizio degli anni novanta.

Sono numeri inquietanti, che si aggiungono a rilevazioni e altre ricerche ufficiali come quella di fine febbraio di Eurostat, che indica in 3 milioni (sul totale di 9 milioni) i minori che in Italia sono a rischio povertà, con percentuali, in Europa, superiori alla Spagna e inferiori solo ai Paesi dell'ex blocco sovietico. Se poi consideriamo le percentuali (40 per cento) della disoccupazione giovanile ci si chiede: senza le loro famiglie, dove andrebbero questi ragazzi se non in mezzo ad una strada? Un quadro che conferma l'analisi allarmante di economisti come Giulio Sapelli, ordinario di storia economica all'università di Milano, che da tempo parla di una situazione simile a quella repubblica di Weimar che precedette l'avvento del nazismo e la Seconda guerra mondiale.

I dati ufficiali servono tuttavia non a scatenare l'angoscia, ma a fornire gli elementi per trovare una via di uscita possibile. L'aspetto più eclatante riguarda la polarizzazione dei redditi con la crescita della disponibilità finanziaria delle classi sociali più ricche e la scomparsa della classe media. Si tratta della disuguaglianza che uccide la democrazia, come descrive da tempo Zygmunt Bauman. Nadia Urbinati, nel recentissimo libro La mutazione antiegualitaria si chiede: «Fino a quando una democrazia può resistere all'incremento di diseguaglianza e di povertà senza snaturarsi?». Anche uno studioso di altro orientamento come Vittorio Emanuele Parsi, docente di relazioni internazionali alla Cattolica di Milano, ha dato alle stampe un libro dal titolo emblematico, La fine dell'uguaglianza.

Esiste un legame molto forte ed eloquente tra la distribuzione di reddito nelle famiglie e la tenuta intera del sistema democratico. Lo aveva messo bene in evidenza Ermanno Gorrieri con un pensiero di lungo termine assai fecondo da riscoprire. Gorrieri partiva rigorosamente dai numeri relativi alle famiglie per capire come disobbedire alla legge della giungla dove il più forte mangia il più debole. Non è strano e fuori luogo perciò chiedersi: come mai in questo quadro economico si è deciso di far entrare in vigore un nuovo sistema di tassazione sui rifiuti (Tares) che pesa in maniera rilevante sulle famiglie con figli? Perché togliere ulteriore reddito a chi non sa come andare avanti e taglia addirittura sul cibo?

Come afferma insistentemente l'economista Luigino Bruni, il nostro Paese ha urgente bisogno di democrazia economica. Bisogna fare in fretta. 

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