Eutanasia, libertà e dignità umana

La proposta del referendum sull’eutanasia legale, che ha raccolto oltre un milione e 200 mila firme, deve ancora passare il vaglio della Corte costituzionale. In caso di via libera si andrebbe al voto entro giugno del 2022. Quale spazio per un dialogo aperto su un tema così lacerante e divisivo? Intervista al giurista Alberto Gambino, presidente dell’associazione Scienza e Vita
(AP Photo/Vadim Ghirda)

Il referendum sull’eutanasia legale si potrebbe svolgere tra aprile e giugno 2022 in caso di via libera da parte della Corte Costituzionale, ma la questione è costantemente di attualità in base all’azione costante  dell’associazione Luca Coscioni. L’ultima novità riguarda la valutazione del comitato etico regionale dell’Azienda sanitaria unica delle Marche  che ha ritenuto possibile il ricorso al suicidio assistito per un paziente tetraplegico immobilizzato da 10 anni. Sarà perciò possibile ad un equipe medica poter somministrare un farmaco in grado di porre fine alla vita di una persona dietro sua richiesta.

Un caso doloroso e lacerante che, come altri temi complessi, tocca una questione che richiederebbe a livello politico una capacità di dialogo nel solco dei valori costituzionali e, invece, rischia, come sempre, di condurre ad una polarizzazione estrema nella società che si rivela utile a fini elettorali.

Di fatto, la mobilitazione promossa a favore del referendum per l’eutanasia legale da parte dell’associazione Luca Coscioni e dai radicali ha raggiunto il suo obiettivo di raccogliere oltre un milione e 200 mila firme, di cui 400 mila on line, abbondantemente superiori al limite richiesto per presentare il quesito referendario presso la corte di Cassazione.

L’esponente radicale Marco Cappato, che abbiamo intervistato su cittanuova.it, è il principale rappresentante della posizione favorevole a riformare parzialmente la norma del codice penale che punisce l’omicidio del consenziente. Cappato ha usato, per sostenere la sua tesi, gli strumenti della disobbedienza civile esponendosi al processo penale per aver accompagnato, nel 2017, Fabiano Antoniano, conosciuto come DJ Fabo, in una clinica in Svizzera dove si pratica il suicidio assistito. La vicenda è stata oggetto di una sentenza della Corte d’assise di Milano nel 2019 che ha assolto l’esponente radicale dopo aver sollevato il caso davanti alla Corte costituzionale.

La carica emozionale di tanti casi dolorosi e il sostanziale favore da parte dei media principali sembra far propendere l’opinione pubblica italiana verso le tesi dei radicali. Cercando di entrare nel merito della questione abbiamo posto alcune domande al giurista Alberto Gambino, presidente dell’associazione Scienza e vita, professore ordinario di Diritto privato, docente di Filosofia del diritto nella facoltà di Giurisprudenza e direttore del dipartimento di Scienze Umane dell’Università Europea di Roma.

Perchè opporsi al riconoscimento della libertà di porre alla propria vita in maniera degna nei casi di sofferenza estrema come quella di dj Fabo che ha visto da parte di Cappato l’esercizio della disobbedienza civile?
Occorre spiegare bene come stanno le cose. Non è corretto dire che chi si oppone all’eutanasia vuole disconoscere la libertà di chi vuole, per dignità, anticipare la propria morte. Dire questo significa avvalersi di uno slogan tanto semplice quanto fallace ed insidioso. Significa strumentalizzare l’uso delle parole e di quanto di profondo c’è dietro di esse. Cominciamo dal riferimento alla “libertà”: cosa significa davvero essere liberi di interrompere la propria vita? La Corte costituzionale proprio nel caso Cappato parla di paziente “pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”. Si tratta di un’espressione gravosa e drammatica: fino a che punto, in un paziente afflitto dalla malattia, si esprimono davvero la sua libertà e la sua consapevolezza? Una legge, come quella che oggi vorrebbero i radicali e l’associazione Coscioni, che attribuisce piena ed assoluta efficacia giuridica alle dichiarazioni dei malati, anche quando barrano semplicemente una casella del modulo del consenso informato, è foriera di applicazioni nefaste.

Che tipo di applicazioni negative?
Si pensi solo al conseguente depotenziamento delle strutture sanitarie che, istituite per curare, si trasformerebbero in luoghi dove provocare la morte dei pazienti. Si pensi, poi, a quali sarebbero concretamente i pazienti in predicato di firmare quel modulo per la somministrazione del farmaco letale: per uno pienamente consapevole, come è stato il dj Fabo, ce ne sarebbero altri novantanove indotti a quella scelta da condizionamenti sociali ed economici. Non a caso il politico giurista Luciano Violante, di estrazione comunista, parla di eutanasia come morte dei poveri. C’è poi un’altra parola abusata nello slogan ricordato: dignità. Oggi si confrontano due letture culturali della dignità: chi la indica come una condizione esclusivamente soggettiva e, dunque, nella totale disponibilità della persona che la incarna, e chi, invece, ne coglie l’aspetto relazionale e considera la dignità umana non suscettibile di essere oggetto di atti di autolesionismo. Qui entra in gioco il tema del referendum proposto dai radicali che in modo ingannevole viene promosso come referendum per l’eutanasia, essendo invece un referendum diretto ad abrogare una norma di grande civiltà e solidarietà: il divieto di uccidere un altro essere umano su sua richiesta. Attenzione l’attuale divieto riguarda ogni tipo di richiesta, non solo quelle condizionate da malattia, ma anche richieste di essere uccisi per motivi di sconforto, debolezza, depressione, stati d’animo. Insomma se il referendum fosse approvato si eliminerebbe una norma penale (l’articolo 579 del codice penale) che sanziona doverosamente chi uccide un altro essere umano su sua richiesta. Insomma, per rendere legittime le uccisioni di pazienti su loro richiesta si renderebbe legittima l’uccisione di chiunque lo voglia. Sarebbe come se per svuotare l’acqua di un porto si decidesse di svuotare l’oceano. Confido davvero che la Corte costituzionale – che a breve dovrà esprimersi sulla legittimità di un referendum di tal fatta – lo ritenga contrario ai principi fondamentali della nostra Costituzione che si fonda sulla centralità dell’integrità fisica  e della vita di ogni persona.

L’opinione pubblica si pone comunque una domanda ricorrente nelle trasmissioni televisive: perchè far soffrire inutilmente persone che chiedono liberamente l’assistenza medica all’eutanasia come avviene in altri Paesi?
Altro slogan ingannatorio: chi è contro l’eutanasia vuole far soffrire i malati. Niente di più falso. Prima di proporre la somministrazione di un veleno, la Corte costituzionale chiede che vengano offerte al paziente la terapia del dolore e le cure palliative. Si tratta di applicare una legge del 2010 che richiede finanziamenti e strutture adatte allo scopo di lenire il dolore e la sofferenza, rispetto ai quali siamo ben lontani da quanto era stato previsto. Prima di parlare di assistenza medica all’eutanasia, chiediamo con forza e determinazione che lo Stato attui quanto ha promesso con quella legge, altrimenti l’eutanasia diventerà inesorabilmente una scorciatoia cinica e drammatica per abbattere la spesa sanitaria. Di questo stiamo parlando, non di quello che subdolamente qualcuno indica come “voler far soffrire i malati”. È esattamente il contrario!

È possibile ancora un accordo parlamentare su un testo di legge condiviso senza scatenare un nuovo clima di scontro su questioni così importanti?
Per fare un accordo parlamentare ognuno deve mettersi in gioco rinunciando a un pezzo della propria posizione. Lo dico ai non credenti, per i quali la morte assume una connotazione biologica, che certamente riduce lo spazio di accettazione della malattia, ma che può rappresentare un fattore di coesione negli affetti e nelle relazioni umane. Lo dico ai credenti che oggi devono fare i conti di essere “minoranza creativa”, come dice papa Benedetto, e che «il dolore è sopportabile esistenzialmente soltanto laddove c’è la speranza», come ci ricorda papa Francesco. Nell’attuale società secolarizzata, il ruolo dei credenti, in sede legislativa, sta nell’attenuare la portata delle c.d. leggi imperfette – cioè non armoniche con la morale cattolica – e, allo stesso tempo, di essere lievito nelle metamorfosi culturali di una società, che, specie tra i più giovani, è sempre più alla ricerca del significato profondo dell’esistenza umana.

Nota della redazione

Per approfondire il concetto delle leggi cosiddette imperfette, etica e diritto in una società pluralista, si rimanda al saggio del professore Luciano Eusebi

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