Europa, le incognite della Commissione von der Leyen

Il nuovo esecutivo europeo ha i numeri per governare, ma non una visione politica condivisa. Difficile raggiungere l’obiettivo della lotta al cambiamento climatico senza una politica estera e la carenza di misure sociali adeguate.

 

Nel giorno in cui scrivo, domenica primo dicembre 2019, le letture della messa ci propongono il brano di Isaia: «Delle loro spade faranno aratri». A inizio maggio del 1950, Jean Monnet si recò dal cancelliere Adenauer per presentare il piano Schuman di riconciliazione franco-tedesca, che consisteva nel mettere in comune il carbone e l’acciaio, le risorse per cui e con cui si erano combattute due guerre mondiali. «Ma è la realizzazione della profezia di Isaia!», fu la sua risposta.

Da qui veniamo, qui è cominciata l’avventura collettiva settantennale dell’integrazione europea. L’altro grande obiettivo del piano Schuman era creare – con la condivisione delle risorse – maggiore prosperità, in modo da migliorare le condizioni di vita delle popolazioni europee.

Da qui veniamo. Ma dove andiamo?

All’inizio del suo mandato, nel 2014, Jean-Claude Juncker, veterano della politica europea con più di 500 Consigli dei ministri dell’Unione europea (Ue) al suo attivo, sapeva bene che l’Ue era un’area di prosperità, cui tuttavia non tutti avevano accesso. Per questo ha fatto della creazione di posti di lavoro la priorità numero uno della sua Commissione, con un piano di investimenti senza precedenti. In questo modo l’Ue ha creato, negli ultimi cinque anni, 14 milioni di posti di lavoro.

Per Juncker era importante non perdere i cittadini europei per strada: chi non ha lavoro, chi si sente insicuro non vota, o vota per estremi che distruggono (vedi la Brexit). Per questo Juncker aveva chiamato il suo gabinetto “la Commissione dell’ultima chance”: l’ultima opportunità di avvicinare i cittadini europei all’Europa, cominciando dal dare a quanti di loro non l’avevano una ritrovata dignità.

E oggi? Che direzione sta prendendo la costruzione europea nel quinquennio che ci sta davanti? In testa alle priorità del Consiglio europeo, in seno al quale i capi di Stato e di governo determinano l’orientamento politico generale dell’Ue, figura la protezione dei cittadini e della loro libertà. La prima priorità dell’istituzione che ha il monopolio dell’iniziativa legislativa, la Commissione è, secondo quando annunciato il 27 novembre in Parlamento dalla sua presidente Ursula von der Leyen, la lotta al cambiamento climatico.

Le priorità della Commissione si tradurranno in legge soltanto con l’accordo dei due rami del potere legislativo, il Parlamento Ue e il Consiglio dei ministri. Il Parlamento ha già mostrato i muscoli respingendo tre commissari designati.

La maggioranza che sostiene von del Leyen è numericamente solida (è stata approvata con più voti della Commissione Juncker) ma è meno coesa: popolari, socialisti e liberal-macroniani non hanno un accordo di legislatura ed hanno posizioni assai diverse su molti dei dossier che saranno loro sottoposti in forma di iniziative legislative.

In Consiglio, non sarà semplice per von der Leyen convincere i rappresentanti degli Stati membri che l’Ue, che contribuisce con il 9% delle emissioni mondiali, si debba incamminare verso la neutralità carbonica entro il 2050, mentre la vera posta in gioco è convincere i grandi inquinatori mondiali di fare la propria parte. E come, senza una politica estera comune?

La sicurezza e il clima sono priorità. Ma in molte regioni europee i cittadini continuano a sperimentare un disagio assai percepibile, e non hanno ancora ritrovato il tenore di vita del periodo pre-crisi. Sapranno le misure sociali, assenti dall’agenda del Consiglio europeo ed in fondo alla lista delle priorità di von del Leyen, dare una risposta alle loro esigenze, e realizzare le prosperità condivisa, per tutti, che sognavano Monnet e Schuman?

 

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