Estate al Circo Massimo

La stagione del romano Teatro dell’Opera apre con Il Trovatore, fuoco e morte.

Immaginarsi due giovani focosi, che non sanno di essere fratelli, e sono innamorati della stessa bellissima donna. Per di più, nella Spagna del secolo XVI, guerreggiano in fazioni politiche diverse. Il primo, Manrico, è un trovatore romantico e guerresco, il secondo il Conte de Luna è ardente, deciso e non vuole ostacoli sul suo cammino, neanche Dio.

Tra loro, oltre alla donna contesa, Leonora, trepidante e innamorata del primo fino a morire, si staglia un personaggio fosco, una emarginata, cioè la zingara-strega Azucena. Sorella di creature estreme di Verdi come Violetta e Rigoletto, e divisa fra l’amore di madre per Manrico – che non è in realtà suo figlio – e la vendetta contro il padre di lui e del Conte che ha bruciato sua madre.

Fuoco e fiamme ardono nelle lunghe ballate dove si raccontano storie spettrali, guerre, nostalgie e si accedono duelli e rapimenti nel più bel plenilunio romantico. La musica verdiana è un fuoco e passione dall’inizio alla fine in arie, cabalette (“Di quella pira”…), cori e concertati furiosi, insieme a momenti di autentica contemplazione come il notturno del Miserere.

Verdi usa la solita forma strofica per ritmi balenanti, pause e ariosi struggenti ed una orchestra che ha il guizzo della fiamma.

Logico che una partitura così notturna e incandescente esiga un impegno totale da parte di ogni interprete, pena il ridurla a banalità. La regia minimalista di Lorenzo Mariani, sullo sfondo di proiezioni di albe e notti, ha puntato all’essenziale: corde, tavoli, sgabelli e i candelieri onnipresenti come segni del fuoco e dello spettro.

La direzione di Daniele Gatti che ha riproposto i quattro atti in versione integrale (“da capo” nelle cabalette, esclusione delle “puntature”, quindi niente do della ”pira”…) è stata accurata, esigente anche se in qualche momento un po’ d’impeto in più non avrebbe guastato.

Quel che c’è di selvaggio in questo Verdi è emerso negli accompagnamenti scanditi, ma anche la passione del compositore Gatti l’ha evidenziata, per esempio nella celebre aria di De Luna ”Il balen del suo sorriso”. L’orchestra ha reagito nel complesso in modo soddisfacente, a parte qualche calo nei violini primi.

Ma nel Trovatore la parte del leone la fanno i cantanti. La Leonora di Roberta Mantegna è molto bella e appropriata: voce robusta e tenue, capace di virtuosismi lunari e di delicatezze, di pathos giusto; il Manrico di Fabio Sartori, voce squillante e fresca, è stato capace di tenerezze squisite (l’aria difficile “Ah sì, ben mio”); decisa e sonora l’Azucena brillante di Clémentine Margaine; qualche riserva sulla vocalità del baritono Christopher Maltman, sempre elegante nel fraseggio ma forse in un ruolo che esigerebbe una voce più giovane; deciso e chiaro anche come attore il Ferrando di Marco Spotti e per una volta Ines è una voce bella e limpida, quella di Mariana Mappa. Professionale il coro. Un felice esordio fino al 6 luglio.

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