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Luigia Coletta

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Cosa è la cancel culture?

C’è polemica per le modifiche apportate ai testi dello scrittore per ragazzi Roald Dahl, ma qual è l’origine di questa operazione di revisione?

Foto di Victoria_Watercolor da Pixabay

Biancaneve e il bacio non consensuale dato dal principe azzurro: la polemica su Disneyland” (ilmessaggero.it, 7 maggio 2021); “Dumbo, Peter Pan e Aristogatti vietati ai minori di 7 anni da Disney perché ‘razzisti’” (tg24.sky.it, 26 gennaio 2021); “6 libri del Dr. Seuss tolti dagli scaffali a causa di contenuti razzisti insensibili” (mehvaccasestudies.com, 9 maggio 2021).

Insomma, il celebre scrittore per ragazzi Roald Dahl (1916-1990), autore, tra gli altri, dei famosissimi “La fabbrica di cioccolato” e “Il Grande Gigante Gentile”, non è il primo e non sarà l’ultimo a subire una sorta di revisionismo su ciò che sarebbe opportuno non dire riguardo alle numerose e varie sensibilità collettive presenti nella società.

I suoi testi, che hanno accompagnato la crescita di varie generazioni, sono stati messi sotto studio nel 2020 da Inclusive Minds, un collettivo che si occupa di inclusività ed accessibilità nella letteratura per ragazzi. L’accordo tra Puffin Books (editore dei romanzi di Roald Dahl) e la Roald Dahl Story Company ha decretato centinaia di cambiamenti per frasi considerate sessiste o offensive per le minoranze (l’articolo del Post ne elenca molte nel dettaglio). E si è giunti alla conclusione di stampare una collana con le modifiche apportate e parallelamente una con la versione originale.

Col nome di “cancel culture” (o ideologia Woke) si manifesta questa tendenza che ha preso piede soprattutto nel Regno Unito e negli Usa di modificare o eliminare termini e frasi considerate politicamente scorrette o non inclusive. Può accadere per la letteratura, ma anche per il cinema e il mondo accademico (non sono pochi i docenti universitari indagati o allontanati per aver citato idee “sbagliate”), per non parlare delle statue di personaggi scomodi rimosse dalle piazze…

In Italia siamo tutelati dalla sentenza 155/2002 della Corte Costituzionale: «Il diritto all’informazione garantito dall’art. 21 Cost. deve essere caratterizzato sia dal pluralismo delle fonti cui attingere conoscenze e notizie – così da porre il cittadino in condizione di compiere le proprie valutazioni avendo presenti punti di vista e orientamenti culturali e politici differenti – sia dall’obiettività e dall’imparzialità dei dati forniti, sia infine dalla completezza, dalla correttezza e dalla continuità dell’attività di informazione erogata.[…] È in questa prospettiva di necessaria democraticità del processo continuo di informazione e formazione dell’opinione pubblica, che occorre dunque valutare la congruità del bilanciamento tra principi ed interessi diversi».

Il discorso è complesso perché l’origine della cancel culture non è ben definita anche se probabilmente si può accostare alla nascita del Movimento Mee Too del 2006 per cui si tendeva a boicottare una persona danneggiandola attraverso la mancata promozione delle sue attività.

Nel 2020 il senatore repubblicano Tom Cotton e il presidente Trump hanno associato la cancel culture al movimento Black Lives Matter, originatosi all’interno della comunità afroamericana, impegnato nella lotta contro il razzismo. Il dibattito è reale e sempre molto acceso perché cammina sul filo sottile del rispetto delle diversità che però spesso si maschera da caccia alle streghe che sta avvelenando la società negli ultimi tempi. La domanda è: può la censura essere lo strumento utile per mettere a tacere opinioni poco ortodosse? O non deve essere sempre e comunque il confronto e il dibattito ad arginare la deriva delle idee?

E tornando alla letteratura per bambini, che si vorrebbero tutelare o educare attraverso la rimozione di parole come “brutto” e “grasso”, non c’è operazione più malsana che appiattire il linguaggio di un autore (geniale come Roald Dahl) e considerare il pubblico infantile un mero consumatore acritico quando invece i bambini sanno utilizzare molto meglio degli adulti gli strumenti del linguaggio simbolico di cui le favole sono permeate distinguendo finzione e realtà e riconoscendo nella diversità e varietà dei personaggi l’altrettanta complessità e bellezza di ciò che li circonda. Per loro il mondo è davvero bello perché vario.

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