L'esperto risponde / Economia e lavoro

Orazio Moscatello

Avvocato penalista e civilista. Esperto in  diritto di  Famiglia e dei Minori. Componente della Commissione Minori dell’Ordine degli Avvocati di Bari. Collaboratore dell’Associazione Meter Onlus, da anni impegnata sul fronte della lotta alla pedofilia. Referente per la Puglia di “Comunione e Diritto”, rete internazionale che unisce studiosi ed operatori nei diversi campi del diritto.

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Che cos’è lo scudo penale?

Sento spesso parlare della reintroduzione dello “scudo penale” ‘a tempo’ per l’ex Ilva di Taranto? Cosa dicono la legge e la magistratura? (Anna Ventrella – Bari)

Il Presidente della Repubblica Mattarella ha firmato recentemente il decreto «per la tutela del lavoro e per la risoluzione di crisi aziendali».

Tra le novità più importanti contenute nel decreto c’è la reintroduzione delle tutele “a scadenza” per il siderurgico di Taranto che erano state eliminate del tutto nel decreto Crescita e avrebbero avuto effetti dal prossimo 6 settembre, lasciando “scoperta” Arcelor Mittal.

La norma era stata chiesta dall’acquirente dell’Ilva per continuare a gestire il siderurgico tarantino anche dopo il 6 settembre, giorno in cui un articolo del decreto Crescita fa cessare l’immunità concessa nel 2015 dal governo Renzi.

La multinazionale dell’acciaio, infatti, aveva minacciato di disimpegnarsi nel caso in cui la situazione non fosse stata risolta e quindi il governo era tornato sui propri passi, legando lo ‘scudo’ penale all’attuazione del piano ambientale. In ogni caso, come invece prescritto dal Salva-Ilva del governo Renzi, non avrà alcuna tutela per eventuali incidenti sul lavoro né per danni alla salute.

La norma è contenuta nell’articolo 14 del decreto e applica ai gestori un principio generale del nostro ordinamento, l’articolo 51 del codice penale, per cui «l’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica… esclude la punibilità».

In questo caso si chiarisce che, per tutti gli atti compiuti da Arcelor Mittal in «osservanza delle disposizioni contenute nel Piano Ambientale» non possono dar luogo a responsabilità penale. Si mette comunque nero su bianco che “resta ferma la responsabilità” penale, civile e amministrativa per la violazione di norme a tutela della “salute e della sicurezza dei lavoratori”».

La vicenda pone interessanti interrogativi sul piano giuridico, oltreché etico e morale. Considerato che la tutela dell’ambiente e della salute e quella del lavoro sono parimenti garantite dalla Costituzione, è giusto “giustificare” una lesione della prima (tutela dell’ambiente e della salute) con la finalità di salvaguardare la seconda (tutela del lavoro)? Chi sostiene tale giustificazione evidenzia il rischio della chiusura dello stabilimento e, conseguentemente, la perdita di 15.000 posti di lavoro.

Pur apprezzando, e condividendo le preoccupazioni poste alla base di ciò, ritengo, però, improbabile sotto il profilo squisitamente giuridico, che la scriminante invocata (art. 51 c.p.) possa essere prerogativa del legislatore, visto che la valutazione della sussistenza o meno della responsabilità penale, ovvero della sua esclusione, compete esclusivamente alla magistratura penale e non può essere stabilita per “decreto”. Per il resto appare illegittimo da un punto di vista costituzionale lo sbilanciamento tra due valori (ambiente e lavoro) costituzionalmente garantiti dalla Costituzione.

Ad ogni buon conto a questo quesito risponderà la Corte Costituzionale che già nei prossimi giorni sarà chiamata a decidere il ricorso presentato dal giudice delle indagini preliminari di Taranto Benedetto Ruberto.

Infatti, dopo aver impugnato nel 2013 la prima legge “Salva Ilva” davanti alla Corte Costituzionale, ottenendo però la bocciatura del ricorso, la Magistratura di Taranto qualche mese fa è tornata alla carica sull’Ilva, ponendo alla Consulta il tema della legittimità costituzionale del decreto legge del 5 gennaio 2015, n. 1, convertito con modificazioni nella legge del 4 marzo 2015, n. 20, che assegna ai commissari dell’amministrazione straordinaria dell’Ilva, ai loro delegati e agli acquirenti dell’azienda, l’immunità penale relativamente alle condotte attuative del piano ambientale dell’azienda. Secondo il giudice delle indagini preliminari di Taranto il decreto del 2015 contrasta con una serie di articoli della Costituzione.

Ruberto si è appellato alla Consulta dopo aver riunificato tre procedimenti in materia ambientale riguardanti l’acciaieria: i livelli di diossina derivanti dalle polveri degli elettrofiltri dell’impianto di agglomerazione, i dati dell’Arpa Puglia relativi alle emissioni di Pm 10, Pm 2,5 e benzene nell’area della cokeria, l’inquinamento provocato dall’attività estrattiva praticata nella cava Mater Gratiae, per la quale il Comune di Statte ha evidenziato problemi in merito alla prosecuzione ed all’ampliamento dell’attività.

Il governatore della Regione Puglia, Michele Emiliano, e alcuni ambientalisti, avevano plaudito al nuovo ricorso della magistratura tarantina: «La decisione del gip di Taranto di sollevare la questione di legittimità costituzionale del decreto Salva Ilva del 2015 con riferimento all’immunità penale dei gestori dell’ex Ilva, ora ArcelorMittal Italia, è buona notizia. Da tre anni – aggiunge Emiliano – la Regione Puglia chiede a tutti i Governi che si sono succeduti di eliminare l’immunità penale e di abrogare tutti i decreti che consentono alla fabbrica di funzionare ancora oggi a carbone.

Non esiste ancora nessuna norma che obblighi la riconversione della fabbrica utilizzando tecnologie non dannose per l’ambiente e la salute umana. A questo – rileva Emiliano – aggiungiamo che la Regione Puglia, nel giudizio pendente per l’impugnazione del vigente piano ambientale, ha eccepito l’incostituzionalità dell’ultimo decreto “Salva Ilva” per aver dato prevalenza all’interesse della produzione a scapito della salute dei cittadini.

Il prossimo 9 ottobre, la Corte costituzionale dovrà esprimersi sulla vicenda per stabilire se, come sostiene il gip di Taranto, «quelle norme che hanno autorizzato lo stabilimento a proseguire, nonostante le deficienze impiantistiche, ben oltre l’originario termine di 36 mesi» non abbiano clamorosamente violato i precetti costituzionali. Una decisione che non potrà non avere ricadute sulla recente introduzione dello scudo penale.

Non è la prima volta che la Magistratura di Taranto impugna alla Consulta norme che riguardano l’Ilva. Ad aprile 2013, infatti, la Corte Costituzionale respinse il ricorso dei magistrati di Taranto contro la prima legge “Salva Ilva” (decreto legge n. 207 del 3 dicembre 2012, convertito nella legge n. 231 del 24 dicembre dello stesso anno). Ricorso presentato a valle del sequestro senza facoltà d’uso degli impianti deciso a luglio del 2012 dal gip Patrizia Todisco.

In quella sede i giudici della Consulta affermarono tra l’altro che la tutela dell’ambiente e della salute e quella del lavoro avevano pari rilievo e che la legge approvata dal Parlamento, su decreto del Governo, si muoveva in questo solco. Cioè quello di contemperare, in un’ottica di bilanciamento, due interessi fondamentali tutelati dalla Costituzione.

All’impugnazione sollevata dal gip Ruberto, nessun commento c’era stato da parte di Arcelor Mittal. L’azienda, tuttavia, mesi addietro, quando era al tavolo del Mise in fase di negoziato con le parti, ha sempre attribuito importanza a questa norma. Ed è evidente che ora per Arcelor Mittal, impegnato a riavviare l’acciaieria dopo una lunga crisi investendo 2,4 miliardi di euro tra parte ambientale e parte industriale, si apra una fase di incertezza, almeno sino al pronunciamento della Consulta.

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