L'esperto risponde / Ambiente

Elena Pace

Docente di Chimica nelle Scuole medie Superiori dal 1984 al 2019. Membro della Commissione nazionale di EcoOne ha conseguito nel 2018 il Joint diploma in “Ecologia Integrale”. Premio nazionale FederChimica Giovani per le eccellenze nella Didattica Chimica (Nettuno 1995). Premio Centro Studi Cesare Terranova per l’impegno civile nell’arginare la violenza tra i giovani (Palermo 2006). Premio nazionale Green Scuola del Consorzio interuniversitario di Chimica per l’Ambiente per l’opera di sensibilizzazione svolta con il Progetto “Dare per Salvaguardare l’Ambiente” di cui è autrice.

 

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Ambiente

Ma la carta da forno dove la getto?

Sono in difficoltà, a volte, a decidere dove buttare certi rifiuti. La carta da forno è carta?

 

Una domanda semplice che apre un discorso articolato. La carta da forno non è solo “carta = cellulosa”, ma è carta trattata in vario modo. Quindi non si può riciclare come carta. In genere è siliconata, cioè vi sono uno o due strati di silicone oppure, se è carta pergamena, è trattata con agenti chimici come l’acido solforico.

Dalle istruzioni presenti sulle confezioni di carta da forno (che pochi leggono) si nota che vanno osservati alcuni accorgimenti: evitare che trasbordi e che venga a contatto con le pareti del forno, non utilizzare con il grill acceso, non superare la temperatura di 220°. In pratica evitare che si bruci o comunque raggiunga temperature in cui si possano contaminare gli alimenti. Viene dato anche un ulteriore consiglio e cioè quello di bagnarla e strizzarla, per farla aderire bene. Aggiungerei che, essendo inumidita, in realtà questo è l’unico modo per rallentarne la combustione.

Ma se volessimo, per spirito ecologico, diminuire la quantità di rifiuti non riciclabili (che quindi vanno bruciati con tutte le conseguenze del caso) cosa possiamo fare? A mio parere dovremmo fare delle scelte più sostenibili, scegliendo le carte da forno naturali in fogli, oppure le carte da forno riutilizzabili. Senza escludere il ritorno ai metodi di una volta.

Indirizzare quindi, con le nostre scelte, i produttori a creare articoli che, dopo l’uso, siano riciclabili.

Infatti diminuire i rifiuti indifferenziati è un imperativo perché, come si legge nel rapporto di Legambiente Rifiuti zero, impianti mille (vedi qui) il rapporto tra le discariche e gli impianti di riciclo è assolutamente inadeguato.

Come dice Papa Francesco nella Laudato Sì: «La terra, nostra casa, sembra trasformarsi sempre più in un immenso deposito di immondizia […] Questi problemi sono intimamente legati alla cultura dello scarto, che colpisce tanto gli esseri umani esclusi quanto le cose che si trasformano velocemente in spazzatura. […] Stentiamo a riconoscere che il funzionamento degli ecosistemi naturali è esemplare: le piante sintetizzano sostanze nutritive che alimentano gli erbivori; questi a loro volta alimentano i carnivori, che forniscono importanti quantità di rifiuti organici, i quali danno luogo a una nuova generazione di vegetali.

Al contrario, il sistema industriale, alla fine del ciclo di produzione e di consumo, non ha sviluppato la capacità di assorbire e riutilizzare rifiuti e scorie. Non si è ancora riusciti ad adottare un modello circolare di produzione che assicuri risorse per tutti e per le generazioni future, e che richiede di limitare al massimo l’uso delle risorse non rinnovabili, moderare il consumo, massimizzare l’efficienza dello sfruttamento, riutilizzare e riciclare.

Affrontare tale questione sarebbe un modo di contrastare la cultura dello scarto che finisce per danneggiare il pianeta intero» (LS 21,22).

 

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Ambiente sostenibile

L’impegno delle aziende per l’ambiente

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Ho letto la sua rubrica e sono d’accordo che il nostro impegno sia essenziale, ma finora ho visto molta più attenzione da parte dei cittadini che delle amministrazioni e delle imprese, pronte spesso solo a fare cassa. Non crede che sia necessario che chi produce cambi l’imballaggio dei prodotti e li renda riciclabili? Antonio


Sì. Credo che si debba agire da entrambe le parti. I cittadini infatti possono fare molto con le loro scelte, ma vorrei mettere in evidenza che anche le istituzioni si stanno muovendo, soprattutto l'Unione Europea, che in ambito ambientale è all’avanguardia: ha fissato obiettivi concreti già nel gennaio 2018, per i quali tutti gli imballaggi di plastica sul mercato saranno riciclabili entro il 2030, l'utilizzo di sacchetti di plastica monouso sarà ridotto e l’uso intenzionale di microplastiche sarà limitato. A questo poi si è aggiunta a maggio 2019 una nuova direttiva del Consiglio europeo, che introduce restrizioni su determinati prodotti in plastica monouso. Speriamo che l’Italia si adegui alle direttive europee come auspicato dal WWF, che in un dossier stilato prima delle elezioni europee del 2019 dal titolo Italia chiama Europa - L'ambiente ritrovato, ha evidenziato come «l’Italia può e deve sfruttare meglio il vantaggio di stare nell’Unione Europea condividendo con maggiore convinzione le norme e gli standard ambientali comunitari». E ha suggerito alle forze politiche italiane dieci scelte strategiche per sanare le lacune ancora esistenti in tema ambientale. Sono comunque convinta, come suggerisce papa Francesco nella Laudato Si, che «l’esistenza di leggi e norme non è sufficiente a lungo termine per limitare i cattivi comportamenti, anche quando esista un valido controllo. Affinché la norma giuridica produca effetti rilevanti e duraturi è necessario che la maggior parte dei membri della società l’abbia accettata a partire da motivazioni adeguate, e reagisca secondo una trasformazione personale». Il papa invita tutti ad abituarsi a piccole azioni quotidiane, «come evitare l’uso di materiale plastico o di carta, ridurre il consumo di acqua, differenziare i rifiuti, cucinare solo quanto ragionevolmente si potrà mangiare, trattare con cura gli altri esseri viventi, utilizzare il trasporto pubblico o condividere un medesimo veicolo tra varie persone, piantare alberi, spegnere le luci inutili, e così via». Perché, afferma Francesco, «non bisogna pensare che questi sforzi non cambieranno il mondo. Tali azioni diffondono un bene nella società che sempre produce frutti al di là di quanto si possa constatare, perché provocano in seno a questa terra un bene che tende sempre a diffondersi, a volte invisibilmente».
Ambiente

Riciclo, riduco, riuso. E riparo.

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Ma vale davvero la pena riciclare? Specialmente con la plastica non ci capisce mai dove metterla… Giovanni


L'idea del riciclo non l'abbiamo inventata noi. In natura ne abbiamo un esempio stupefacente. Basti pensare al ciclo dell'acqua tra terra, mare e cielo, grazie al quale la massa totale di acqua sulla Terra rimane costante nonostante la continua trasformazione nei suoi tre stati di aggregazione: solido, liquido e gassoso. Se noi riuscissimo ad imitare il modello della natura, che è senza scarto, saremmo salvi. Invece la maggior parte dei rifiuti non vengono recuperati. Soffermiamoci un momento sulla plastica. Prima di gettare l'involucro di un prodotto commerciale siamo abituati a guardare le indicazioni per uno smaltimento corretto? Ci sono delle icone riportate sulla confezione che, se poco chiare o mancanti, possono anche farci preferire un prodotto piuttosto che un altro. Un criterio per scegliere un prodotto rispetto ad un altro, a parità di qualità, è che tutto l’incarto sia riciclabile. Infatti ci sono delle carte plastificate che siamo costretti a gettare nell'indifferenziato, e plastiche non riciclabili che inseriamo nel riciclo, come quelle che (tanto per confonderci) hanno il simbolo delle tre frecce che si inseguono, che indica riciclabile, ma con il numero 7 all'interno che indica che non sono riciclabili! E cosa succede se getto nel riciclabile ciò che non può essere riciclato? Dato che le plastiche non riciclabili richiedono procedure di lavorazione particolari – perché si induriscono con il calore (plastiche termoindurenti) e con un secondo riscaldamento inceneriscono –, bisogna evitare di mescolarle con le altre riciclabili. E se invece getto nell'indifferenziato una plastica riciclabile? La plastica che avrei potuto recuperare, se è clorurata come ad esempio il PVC, incenerita insieme al resto produce, oltre ai prodotti della combustione (gas serra con effetto riscaldante), anche la velenosa diossina che viene immessa nell’aria che respiriamo. Naturalmente è ancora peggio disperdere la plastica nell'ambiente, terrestre e marino, perché tutto finisce negli inceneritori o va in mare a formare quelle zuppe di microplastiche tristemente conosciute con il nome di Isole di Plastica. E non penso solo al lontano Oceano Pacifico: c’è un’isola di plastica anche nel Mediterraneo, tra l'isola d'Elba e la Corsica, lunga decine di km e densa il doppio di quella del Pacifico. Ma se riciclassimo tutta la plastica avremmo risolto il problema? No. Non basta riciclare tutto (magari ci arrivassimo!), dobbiamo ridurre anche i consumi. L’idea di utilizzare tutta la plastica che vogliamo, infatti, potrebbe farci cadere nel paradosso di Jevons: «i miglioramenti tecnologici che aumentano l’efficienza di una risorsa possono far aumentare il consumo di quella risorsa, anziché diminuirlo»! Teniamo conto che la produzione di plastica utilizza acqua ed energia che, attualmente, viene soprattutto dai combustibili fossili, tra i maggiori responsabili del surriscaldamento globale. Quindi il fatto che posso riciclare non mi deve indurre a consumare di più.   In definitiva occorre tenere presente sempre le tre R: non solo la R di Riciclo, ma anche la R di Riduco e la R di Riuso. Quando si fanno circolare i beni riusandoli, contribuiamo a creare un circolo virtuoso di risparmio energetico, e nello stesso tempo ridiamo dignità all’oggetto stesso, allungandogli la vita. È quello che facevano i nostri anziani, che riparavano le cose che si rompevano. In questo modo, oltre a valorizzare l'oggetto con la loro abilità di recupero, compravano anche di meno. Una volta Emanuele, un mio studente, mi ha detto: «È bello perdere tempo nel fare piccoli gesti, sapendo che contribuiscono al benessere del mondo». Sì, piccoli gesti, come osservare dove buttiamo l’involucro, raccogliere una bottiglia di plastica da terra e metterla nell’apposito contenitore, fare durare di più gli oggetti. L’ecologo Simone Franceschini ha dimostrato che se tutti gli studenti italiani facessero durare una settimana in più la loro penna (evitando di rosicchiarla o farla scoppiare) si risparmierebbe una quantità di energia equivalente a quella prodotta in un giorno da una centrale nucleare! Allora vale la pena riciclare? Si, ma solo se, oltre a riciclare, riduco e riuso. Infine, crepi l’avarizia, aggiungerei anche una quarta R: Riparo, tutto quello che si rompe.  
Educazione alla sostenibilità

Spegniamo la luce!

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Tutti parlano di emergenza ambiente, ma che possiamo fare noi cittadini qualunque? Vale la pena spegnere la luce anche per un solo istante?


Il pensiero attuale di molti esperti in campo ambientale è che, a parità di buone tecnologie e di consumo energetico pro-capite, il fatto stesso che la popolazione sia in continuo aumento comporta un aumento dell’inquinamento. Da qui la consapevolezza che è necessario prima di tutto agire sui consumi limitando gli sprechi.  Ma solo cambiando il nostro comportamento è possibile agire in modo significativo sulla diminuzione dei consumi e dell’inquinamento. Ognuno di noi può farlo. I comportamenti individuali positivi, infatti, possono incidere in modo significativo e fare la differenza perché, come afferma Sergio Rondinara – docente di Epistemologia e cosmologia presso l’Istituto Universitario Sophia di Incisa Valdarno (FI) –: «piccole cose fatte da tanti diventano una cosa grande». Ma allora vale davvero la pena spegnere la luce anche per un solo istante? Partiamo dal fatto che in Italia, per produrre un Kwh (l’energia corrispondente alla potenza di un watt mantenuta per un’ora) le centrali termoelettriche ad olio combustibile immettono nell’atmosfera in media 0,5 kg di anidride carbonica, con un prezzo pagato dal consumatore è di circa 0,25 centesimi/Kwh. Calcoliamo adesso quanti Kwh consuma una lampadina da 60 W che rimane accesa per 5 ore, ogni giorno, per un anno. 60 w = 0,060 Kw. In un’ora: 0,060 Kwh. In 5 ore: 0,060 x 5 Kwh=0,3 Kwh. In 365 giorni: 0,3 x 365 = 109,5 Kwh. 109,5 Kwh corrispondono a 54,75 Kg di anidride carbonica emessa, con un costo per il consumatore di 27,37 euro. Quindi se tengo spenta una lampadina da 60 w per 5 ore, ogni giorno, per un anno, risparmio 27,37 euro ed evito di immettere nell’aria 54, 75 Kg di anidride carbonica.  Lo stesso risultato però posso ottenerlo anche se invece di farlo solo io lo facessero con me 6.57 milioni di persone per un solo secondo in un anno. Basterebbe dunque che, per esempio, gli abitanti del Lazio che sono circa sei milioni (5,882 milioni per l’esattezza) spegnessero la luce, lasciata accesa inutilmente, per un solo istante in un anno e si avrebbe il risparmio calcolato prima. Allora coraggio! Anche se usciamo dalla stanza per un momento, spegniamo la luce!  
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