Ermanno Rea: nella tragedia il seme della rinascita

Cantore della realtà tragica, lo scrittore napoletano appena scomparso vi porta sempre il soffio vitale dell’esistenza umana. La sua impazienza “che affiora dal fondo dell’abisso”. Il contatto con la forte esperienza della comunità di don Antonio Loffredo alla Sanità
Rea

Ci sono scrittori che attraversano senza clamori la scena letteraria del nostro tempo, ma alla loro scomparsa ti accorgi del grande vuoto che lasciano, e allora riprendi tre le mani i suoi libri e senti che il dono è stato totale, senza reticenze o limiti. Così è stato per tanta parte della cultura italiana alla notizia della scomparsa dello scrittore napoletano Ermanno Rea.

 

Giornalista da sempre, Rea scopre in età adulta la vocazione narrativa che lo porterà ad esplorare più a fondo la realtà, per trasfigurarla nella visione fantastica del romanzo. Nato a Napoli, ma vissuto prima a Milano e poi a Roma, egli ritorna spesso con i suoi romanzi nella città natale, lasciandoci libri indimenticabili quali Mistero napoletano (Premio Viareggio 1995), Fuochi fiammanti a un’hora di notte (Premio Campiello 1998), La dismissione (2002), doloroso racconto sull’alienazione della grande fabbrica dell’Italsider di Napoli, Napoli ferrovia (2007), La comunista, due storie napoletane (2012).

 

Sempre attratto dalle strade, dalle piazze, luoghi memorabili di cui aveva assistito alla decadenza, Ermanno Rea ritrova in sé la speranza di poter un giorno rivedere nuovamente questi spazi urbani vissuti e amati dall’uomo. Infatti, nonostante la realtà tragica di cui diventa cantore, egli porta sempre il soffio vitale dell’esistenza umana anche lì dove li pieghe amare della storia hanno lasciato segni indelebili di miseria e di morte, intravedendo seppur da lontano un alba di resurrezione.

 

Significative in tal senso le parole con le quali egli chiude il tragico romanzo Mistero napoletano considerato il suo capolavoro: «Questo tempo cieco non corrisponde affatto al mio umore: non sono triste. Mi sento piuttosto come un uomo appena sbarcato in un porto dopo aver attraversato una spaventosa tempesta. Le tempeste sono una ricchezza immensa: insegnano grandi verità. Per esempio che ciascuno di noi vale le storie che si porta dietro, ma anche quelle della propria immaginazione e del proprio sentimento; le storie della propria travagliata maturazione… Io so perché non sono triste nonostante la pioggia. Non lo sono perché mi illudo di aver estinto un debito contratto con me stesso tempo fa, nella convinzione che non si può amare né una città né un amico – nessuno – senza essere disposti a mettere in gioco se stessi in nome della loro innocenza. Come già a Berlino, pure qui cadono muri e occhi si spalancano verso il futuro che potrebbe essere anche di resurrezione. Il tema della resurrezione è presente dappertutto, perfino nella pioggia che cade e fa vibrare i vetri del balcone: qui, ora. È un’impazienza che affiora dal fondo dell’abisso e che a me pare di riconoscere perfino agli angoli della strada».

 

Parole che lanciano suoni potenti in una società che ha disimparato a riconoscere nella vita di ogni uomo il respiro assoluto ed eterno, la gioia del riscatto, il recupero della bellezza. Negli ultimi 4 anni Rea è ritornato spesso a Napoli con un pensiero fisso: cercare i segni della resurrezione, intravisti nella forte esperienza comunitaria e sociale portata avanti dalla comunità di don Antonio Loffredo alla Sanità. E proprio nel Quartiere della Sanità, zona popolare e ribollente di un humus che trasuda sangue, trova ispirazione per la sua nuova tragica storia, seppur nel fermento di un’autentica rinascita. Il romanzo, dal titolo Nostalgia, uscirà postumo il 13 ottobre per i tipi della Feltrinelli.

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