Emigranti e immigrati, cioè fratelli

Le migrazioni ci costringono a pensarci unica famiglia umana. Riflessioni scomode nel libro intervista di Agostino Marchetto, già segretario del Pontificio consiglio dei migranti.  
immigrazione
Ventiseimilioni di italiani in un secolo. Il calcolo è approssimativo ma tanto sono stimati gli italiani costretti ad emigrare poco dopo l’unità d’Italia, dal 1876 al 1976. Una memoria storica che fa parte dell’identità nazionale come delle vicende di un gran numero di famiglie. E a cui si potrebbe riandare, anche usando il familiare termine di “emigrante”, mentre continuano ad arrivare anticipazioni allarmate sull’invasione dei barconi dai paesi del Nord’Africa verso l’isola di Lampedusa.

Un inviato della Stampa, Domenico Quirico, ci ha raccontato l’avventura di essersi confuso in una di queste imbarcazioni dalla Tunisia verso l’Italia condividendo le paure ancestrali del viaggio, del pericolo e la paura dell’ignoto. Condividendo l’essenziale, pane e acqua, arriva a pronunciare il termine “affratellati” che suona in modo particolare alla vigilia di una festa ufficiale contrastata tra connazionali che, da poco, hanno imparato le note di un inno che comincia con il termine “Fratelli” legandolo ad un luogo “l’Italia” e poi declinato in un legame di cittadinanza che si trasmette in base al sangue.

Davanti agli attuali rivolgimenti epocali, previsti da pochi, e alla difficoltà di offrire una comune risposta solidale come più grande comunità europea, un termine di paragone necessario, fondato su un’idea più ampi di fratellanza, ci viene offerto da un libro intervista ad Agostino Marchetto intitolato “Chiesa e migranti. La mia battaglia per una sola famiglia umana”.  Con un interlocutore come Marco Roncalli, saggista e studioso, l’arcivescovo, ex segretario del pontificio consiglio dei migranti, affronta i nodi culturali dei diritti dei migranti e delle tante prese di posizione molto nette che ha pensato bene di esplicitare pur conoscendo e praticando l’arte della diplomazia internazionale per oltre trent’anni.

 

Dalla situazione dei centri di identificazione e di espulsione, ai respingimenti in mare dei migranti senza possibilità di chiedere asilo, alla totale contrarietà della legge sul reato di clandestinità e alle criticità del trattato bilaterale tra Italia e Libia, non vengono fatte prediche. Semmai si affrontano temi di diritto della navigazione e di diritto internazionale. Questioni di convivenza e di diritti umani, tra cui quello di emigrare, che chiamano in gioco la risposta della coscienza e dell’azione dei cristiani. 

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