Emergenze prevedibili, tutti responsabili

Il maltempo sta sgretolando case e allagando intere città. Eppure, tutto questo si poteva evitare. Come? Lo spiega il presidente del Consiglio nazionale dei geologi, Gian Vito Graziano
alluvione albinia toscana

L’ondata di maltempo che da domenica investe l’Italia sta portando sempre più problemi: vaste zone del Centro sono sommerse dall’acqua, diverse famiglie sono state evacuate, strade e ferrovie chiuse bloccano i collegamenti e creano non pochi disagi. Per capire meglio il perché di tutto abbiamo intervistato il presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi, Gian Vito Graziano.
 
L’Italia è flagellata dal maltempo, il nostro è un Paese impreparato o ciò che accade è inevitabile?
«L’Italia è assolutamente impreparata, quanto è accaduto era evitabilissimo se solo avessimo ragionato diversamente nell'ultimo decennio, invece abbiamo continuato a imperversare sul territorio, costruito dove non dovevamo, abbiamo fatto tutta una serie di azioni molto maldestre, da abusivismi a piani regolatori dissennati. Il risultato è che oggi siamo totalmente impreparati e un evento meteorologico che va un po’ al di fuori della normalità ci mette in ginocchio ed è assolutamente colpa nostra».
 
Quindi nonostante ciò che è accaduto lo scorso anno a Genova, ciò che è accaduto a Scaletta in Sicilia, non sono stati presi provvedimenti adeguati.
«No, l’unica cosa che noto è che c’è una maggiore consapevolezza dei cittadini di vivere in un territorio che non è sicuro, proprio perché quello che è accaduto in questi ultimi giorni accade ogni anno e si ritorna sempre a parlarne. Al di la di questo non si è fatto nulla o quasi, si è intervenuti con le poche risorse disponibili per tamponare qualche situazione di emergenza ma niente di più, e questa è una colpa che attribuisco soprattutto ai governi nazionali, non sono stati capaci di fare una nuova legge di governo del territorio che è quello che in Italia manca».
 
Quindi si risponde all’emergenza, ma non si lavora in prevenzione?
«Esattamente, si lavora sempre in emergenza e siamo anche bravi, però senza renderci conto che non possiamo rincorrere continuamente le emergenze e questo per tante ragioni. Innanzi tutto, quando si lavora in emergenza vuol dire che il danno è già fatto o sta per arrivare, inoltre ci costa molto di più rispetto a quello che invece si spenderebbe lavorando in prevenzione. Questo è stato ribadito più volte, ormai è uno slogan che passa anche da un punto di vista mediatico ma non incide a livello legislativo».
 
Quali sono le regioni più a rischio?
«Difficile fare una graduatoria, è abbastanza diffusa la situazione di pericolosità poiché essa è insita nel nostro territorio. L’elenco dei paesi sarebbe troppo lungo, diciamo che sono a rischio soprattutto i grandi centri abitati: lo abbiamo visto l’anno scorso con Genova, due anni fa con Messina, non voglio creare allarmismi, ma non sono soltanto queste due le situazioni a rischio».
 
I cittadini cosa possono fare per non trovarsi sempre davanti all’irreparabile?
«Pian piano il cittadino sta assumendo una maggiore consapevolezza e questo dovrebbe portare a comportamenti migliori, perché in realtà la colpa per il degrado del territorio non è soltanto della politica ma è di tutti, dal primo all’ultimo cittadino che ha agito con totale dispregio nei confronti del territorio. Quindi comportarsi in maniera diversa, con maggiore rispetto verso il territorio è fondamentale. Si potrebbe poi creare massa critica affinchè gli enti che ci governano a livello locale, ma soprattutto a livello nazionale, capiscano che questa è un’emergenza vera per l’Italia, che crea problemi di deficit pubblico sempre più ampi. Attraverso la consapevolezza forse qualche risultato, nel breve-medio termine, riusciremo a raggiungerlo».
 
Gli stanziamenti attuali sono sufficienti?
«Assolutamente no, viviamo in un momento di crisi economica quindi sono poche le risorse che possiamo destinare a questo problema. Quelle che occorrono sono cifre molto elevate, la stima del ministero è di quaranta miliardi di euro e la cosa grave è che da qui a qualche anno i quaranta miliardi di euro diventeranno cinquanta perché gli stanziamenti che riusciamo a mettere in campo sono minori rispetto alle emergenze che ogni anno si creano. Aumenta quindi il divario tra quello che occorre e i soldi disponibili».
 
Se avesse in mano l’agenda del Governo su questi temi, cosa farebbe?
«Ricostituirei subito le condizioni per una nuova legge di governo del territorio, una legge di difesa del suolo organica come esisteva nel 1989 quando il governo aveva fatto un lavoro egregio, creò una commissione che studiò il problema e si arrivò ad una legge organica. Io credo che almeno ricreare le condizioni per sedersi intorno ad un tavolo e ragionare su come risolvere il problema sarebbe la prima cosa da fare domani mattina».
 

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