Emergenza freddo, l’allarme della Caritas

Un'altra persona è stata trovata morta nella Capitale. Per gli operatori che portano pasti e offrono posti letto a chi dorme per strada, serve una migliore organizzazione dell'assistenza a chi non ha una dimora fissa.

Sale a 10 la conta delle persone che hanno perso la vita per il freddo in questo inverno romano. L’ultima vittima era un cinquantenne proveniente dall’Est Europa, trovato morto da un passante a piazzale Mancini, si presume deceduto per ipotermia.

Un numero tristemente alto, aggravato dal fatto che la stagione invernale non è ancora finita. La Caritas di Roma ha risposto attivamente all’appello delle istituzioni, aggiungendo 140 posti letto ai 600 già disponibili, ma la complessità del problema non può essere limitata alla conta dei letti, che paradossalmente non vengono mai occupati del tutto.

La Caritas mette in strada ogni sera delle squadre composte da operatori professionali e volontari, che raggiungono le persone in difficoltà consegnando coperte e sacchi a pelo o proponendo accoglienza, che spesso viene rifiutata. «Durante il giro notturno gli operatori rompono il ghiaccio portando un dolcetto o una merendina, un sistema per instaurare un rapporto, ma ci troviamo di fronte a persone che vivono una forte fragilità psicologica, vulnerabili, che hanno paura di entrare in un Centro e preferiscono restare in strada». A dircelo è Alberto Colaiacomo, responsabile dell’ufficio comunicazione e stampa della Caritas di Roma. Le squadre, cinque in totale, si spostano in automobile per raggiungere i luoghi dove abitualmente i senza fissa dimora cercano rifugio.

La situazione dei senza fissa dimora a Roma è aggravata anche dagli sgomberi, sebbene «molti degli sgomberati, come nel caso dell’Ex Penicillina, trovano rifugio in altre occupazioni». Anche i recenti avvenimenti di Castelnuovo di Porto, con la chiusura del “Centro di accoglienza per richiedenti asilo”, potrebbero portare in strada delle persone: «una dozzina», ci dicono dalla Caritas di Castelnuovo di Porto/Santa Rufina, ma i dati sono da confermare.

In questo panorama complesso merita di essere analizzata la risposta delle parrocchie romane. Dei 140 posti letto suppletivi, 62 si trovano nella Cittadella della Carità, in via Casilina Vecchia, mentre i restanti sono divisi tra le parrocchie. «Alle 32 che fanno accoglienza tutto l’anno per il progetto “Rifugiato a casa mia” – prosegue Colaiacomo – se ne sono aggiunte 8».

Il livello di partecipazione parrocchiale può essere meglio compreso attraverso l’analisi qualitativa dell’accoglienza. Ce ne parla Roberta Molina, responsabile dell’area Ascolto e accoglienza della Caritas di Roma. «C’è stata una grande partecipazione nelle parrocchie. Le comunità si sono attivate per entrare progettualmente nell’accoglienza di queste persone, cercando di sostenerle nei loro bisogni. Le risposte territoriali di piccoli gruppi favoriscono una maggiore integrazione, vero bisogno dei senza fissa dimora insieme a lavoro e rifugio». Questa chiave di lettura permette di concepire l’accoglienza in maniera diversa rispetto al semplice calcolo dei posti letto. «Le comunità avvolgono chi è in difficoltà e aiutano a rimettersi in gioco».

La Caritas collabora in maniera costante con le istituzioni, con il comune scopo di aiutare le persone in difficoltà, ma «non è più possibile pensare al problema dei senzatetto come a un’emergenza», spiega Molina. «Quello che manca è un cambiamento sostanziale del modo di intendere la questione. Il piano freddo va bene per cercare di dare un rifugio nei messi invernali, ma a primavera il problema prosegue. Dobbiamo renderci conto che manca una pianificazione onnicomprensiva. Le risposte non possono essere identiche per tutti i casi che si presentano, ma devono essere adeguate. Non è possibile trattare allo stesso modo un giovane e un anziano che si trovano per strada. Il tema è complesso e manca una progettualità condivisa».

 

 

 

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