Elezioni in Myanmar, San Suu Kyi sfida i militari

Domenica nel Paese si svolgeranno le prime elezioni libere. Tuttavia, il divieto di diventare premier o presidente della Repubblica rivolto a chi ha parenti stranieri, di fatto penalizza la "Signora" dell'ex Birmania, ma la leader dell'opposizione al regime militare non ci sta
Myanmar sostenitori di Aung San Suu Kyi alle prime elezioni libere del Paese

Domenica il Myanmar vivrà uno dei momenti più importanti della sua storia recente. Si svolgeranno, infatti, le elezioni generali che in molti definiscono, con speranza, "le prime elezioni libere" del Paese del sud est asiatico. È un momento che, dopo decenni di governo dittatoriale da parte dell’esercito, potrebbe segnare una svolta definitiva verso la democrazia e la libertà. Ma ci sono ancora elementi che suscitano timore. La Costituzione varata nel 2008 prevede che 166 seggi siano appannaggio, d’ufficio, delle forze armate e che nessun cittadino birmano con parenti stranieri possa rivestire il ruolo di Primo Ministro o Presidente della Repubblica. Questa ultima clausola, evidente legge ad personam per impedire a Aung San Suu Kyi di arrivare al potere, getta un’ombra su quanto accadrà domenica e nei giorni successivi.

 

Dopo quindici anni di arresti domiciliari la "signora" della Birmania, oggi Myanmar, resta il punto di riferimento dell’opposizione al regime militare. La San Suu Kyi ha chiarito che, in caso di vittoria del suo partito, sarà lei a guidare il governo e ricoprirà un ruolo “al di sopra del presidente”. Si tratta di un messaggio chiaro rivolto a chi è al governo, ma anche al suo popolo. In una conferenza stampa svoltasi all’interno della sua casa, la 70enne “Signora” del Myanmar non ha risparmiato critiche sul processo elettorale e le modalità in cui si è svolta la campagna, sottolineando che non è stata davvero “libera e giusta” e la Commissione preposta non ha saputo fronteggiare le irregolarità. Inoltre, negli ultimi tempi si sono verificati casi di violenze contro candidati dell’opposizione e arresti fra attivisti e studenti.

 

I dati statistici di questa tornata elettorale sono macroscopici. I candidati sono più di 6 mila, in rappresentanza di uno sventagliamento impressionante di partiti: 93. Le circoscrizioni sono circa mille e duecento. In ballo ci sono 330 seggi della Camera Bassa (Pyithu Hluttaw) e 168 della Camera “delle Nazioni” (Amyotha Hluttaw). I numeri principali del prossimo, storico appuntamento elettorale che si terrà in Myanmar, tuttavia, non restituiscono appieno la portata dell’evento, potenzialmente in grado di consegnare al paese il suo primo governo scelto dal popolo in oltre mezzo secolo di storia.

 

Analisti ed esperti di politica birmana prevedono un buon risultato alle urne per la National Leaguefor Democracy (Nld). La San SuuKyi è alla guida della NLD e spera di poter ripetere lo spettacolare successo delle elezioni del 2012. In quell’occasione, dopo anni di arresti domiciliari e di semi-clandestinità, ottenne 43 sui 46 seggi disponibili. Oggi il partito conta su un migliaio di candidati che sono però spalmati su tutte le circoscrizioni elettorali del paese asiatico. Il partito di opposizione mira ad ottenere i due terzi dei voti per avere i numeri necessari per sfiduciare l’attuale presidente Thein Sein. Non potendo la leader prendere ufficialmente il ruolo di Primo Ministro o Presidente, uno dei candidati più accreditati alla successione appare essere Thura Shwe Mann, attuale Presidente del parlamento.

 

Non si deve, comunque, dimenticare il partito attualmente al potere – Union Solidarity and Development Party (USDP) – che raccoglie le forze della conservazione e della difesa dello status quo. Proprio questo partito, uscito vincitore dalle elezioni del 2010 che erano state boicottate dal fronte dei progressisti, mira a mantenere in qualche modo il ruolo di arbitro in ultima istanza e di veto player della politica birmana, impedendo il tentativo di “svolta” da tempo sperato dalle opposizioni. Questo partito ha a suo favore elementi non trascurabili: il 25 per cento di seggi sottratti al responso delle urne e affidati alle nomine delle forze armate, ed il prestigio della figura di Thein Sein, pronto in caso di vittoria a un secondo mandato presidenziale.

 

Resta aperta anche una terza possibilità nel complesso scenario birmano. Qualora i due principali contendenti non riuscissero a tradurre in sede di voto le promesse della vigilia e le attuali proiezioni, assumerebbero una grande importanza i candidati indipendenti e quelli dei mini-partiti, che confluirebbero nella coalizione United Nationalities Alliance (UNA).

Non resta che aspettare il responso delle urne e, allo stesso tempo, vedere come reagiranno gli attuali militari al potere. Si tratta di nodi tutt’altro che scontati. Solo la prossima settimana potremmo capire cosa accade nel piccolo Paese del sud Est Asiatico, dove avranno un ruolo importante anche gli equilibri fra i vari gruppi etnici.

Fonti: ISPI e Asia News.

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