Elezioni, alla conquista del Senato

Saranno determinanti le vittorie nelle regioni con maggiori senatori. Lombardia e Sicilia in bilico tra centrosinistra e centrodestra. Commenta l'articolo
Palazzo Madama

Oggi è l’ultimo giorno in cui è possibile diffondere i sondaggi elettorali e tutte le grandi testate giornalistiche sciorinano il loro, rendendo palesi, pur tra divergenze notevolissime tra l’uno e l’altro, le tendenze di fondo: il centrodestra in recupero e il centrosinistra in flessione, il Movimento 5 Stelle in costante crescita, la coalizione guidata da Monti che continua a oscillare intorno al 15 per cento, la lotta per il quorum di Rivoluzione civile e l’affermazione simbolica ma significativa di Fare-Fermare il declino. La distanza tra le due principali coalizioni oscilla tra il 3 per cento circa di Euromedia e il 7 per cento e oltre dell’Ispo, ma stando ai vaticini degli addetti ai lavori non sarebbe possibile (o sarebbe quantomeno molto poco probabile) un sorpasso. Ben sappiamo però che i dati delle politiche non possono essere presi all’ingrosso, senza tenere in debito conto la differente modalità di attribuzione del premio di maggioranza tra Camera e Senato. Alla Camera, la coalizione che prende un voto più delle altre si aggiudica 340 deputati, cioè la maggioranza dei seggi (la Camera, ricordiamolo, è composta da 630 deputati).

Al Senato, invece, per rispettare la previsione dell’art. 57 della Costituzione («Il Senato è eletto su base regionale»), il premio di maggioranza è attribuito regione per regione e il saldo finale non è detto che confermi la stessa maggioranza della Camera. L’indelebile ricordo della vicenda del governo Prodi uscito dalle urne del 2006 è sufficiente a far tremare le vene e i polsi non solo a Bersani, ma anche a tutti noi cittadini: una instabilità magari altrettanto litigiosa come quella di quegli anni è proprio l’ultima cosa di cui un Paese in crisi ha bisogno. Eppure è esattamente il rischio che si corre; anche – e ancor di più – se il centrodestra riuscisse nell’impresa, vincendo alla Camera. La partita si gioca nelle regioni più popolose dove il numero dei seggi da attribuire è più alto e il premio di maggioranza fa la differenza. I sondaggi decretano una sconfitta sicura del centrosinistra in Veneto; Bersani e i suoi devono quindi far di tutto per conquistare la Sicilia e la Lombardia, date entrambe in bilico. Tra tutte e due si assegnano ben 74 seggi sul totale di 315 senatori, 14 garantiti per chi vince in Sicilia e addirittura 27 in Lombardia: questo spiega la lotta senza esclusione di colpi che viene condotta a suon di promesse che, se analizzate, capiamo che parlano soprattutto a quelle aree (vedi il tema tasse-impresa-occupazione declinato nelle forme più fantasiose).

Ma la distribuzione dei seggi regione per regione non interessa solo chi può e vuole vincere; essa è alla base anche di un’altra tattica: l’agire per far perdere l’una o l’altra coalizione. Anche questa partita si gioca soprattutto in Lombardia, dove oltre alle coalizioni maggiori sono protagoniste consapevolmente decisive le liste di Monti e di Giannino. La prima disturba grandemente il centrosinistra, rischiando di erodergli quel che manca alla vittoria e consegnando così una dote consistente alla coalizione berlusconiana; la seconda invece insidia il centrodestra, anch’esso bisognoso di raggranellare qualsiasi punto decimale. Ma se la guerra dichiarata da Giannino a Berlusconi è tutta politica (Fermare il declino non ha alcuna speranza di entrare in Senato), la lista Scelta civica ha interesse a diventare l’ago della bilancia nella formazione del prossimo governo, se il centrosinistra conquista la Camera ma non raggiunge la maggioranza al Senato. Questo scenario è molto realistico, tanto più che una percentuale di voti a sinistra è, anche in Lombardia, catalizzata da Ingroia e dalla sua Rivoluzione civile, senza peraltro poter aspirare ad eleggere un senatore (per le liste che corrono da sole la soglia di sbarramento, anch’essa regionale, è stabilita all’8 per cento). Ecco allora, da destra e da sinistra, i richiami più o meno velati al “voto utile”: sarebbe inutile, perché dispersivo,e votare Giannino o Ingroia.

E Grillo? La campagna elettorale che sta conducendo nelle piazze è di quelle da ricordare: bagno di folla continuo, coinvolgimento personale dei partecipanti, richiamo a temi e sensibilità fortemente avvertiti dalle popolazioni locali… Un “tu a tu” con i cittadini che, grazie anche agli effetti dell’immancabile scandalo settimanale, i sondaggi danno come vincente sotto il profilo della capacità di persuasione e di recupero di partecipazione al voto, soprattutto di giovani. E la possibilità di crescita e di recupero di indecisi o astensionisti non è ancora esaurita: non dimentichiamo che tutti i sondaggi sono concordi nell’attribuire all’area del non voto un buon 30 per cento dell’elettorato. Il Movimento 5 Stelle non corre (ancora) per conquistare il Senato, ma per conquistare quanti più seggi possibile, quello sì; e sotto questo profilo insidia sia Scelta civica che – addirittura – lo stesso Pdl. Facile immaginare le ripercussioni in quella Camera, già soggetta a un equilibrio delicatissimo. Ma a chi si candida a governare e può averne i numeri non deve far paura il dissenso; piuttosto, deve saper costruire una maggioranza seria e solida, capace di resistere con robustezza alle critiche più corrosive, avvantaggiandosi di una opposizione solerte e puntigliosa, come quella dei grillini promette di essere.

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