È l’ora di Pavarotti

Il docufilm di Ron Howard sul grande tenore modenese è sia uno spaccato sull’uomo che era, con tutte le sue fragilità, sia su un personaggio che ha dominato i media
Ron Howard, regista del documentario "Pavarotti".
Ron Howard, regista del documentario “Pavarotti”.

Il documentario di Ron Howard sul tenore modenese è commovente ed equilibrato. Commuove perché sfila i ricordi delle donne nella vita dell’artista, delle figlie, dei successi della carriera, della malattia. Dell’uomo con le sue fragilità, debolezze e paure, ma anche dell’innata generosità specie verso i bambini. Un uomo nato per l’opera, che ha reso un fenomeno di massa senza temere di affiancarsi al repertorio leggero e al rock. Ma in soggezione davanti alla musica perché più grande di lui e alla sua stessa voce, dono di Dio, come la definiva.

Attraverso filmati inediti e rare interviste con la famiglia, i colleghi e i manager, attraverso lo spettacolo dei Tre Tenori a Caracalla, che lo ha reso come Caruso una star mondiale, il docufilm è uno spaccato non solo su un artista formidabile e un uomo che ha pure sofferto, ma anche su un personaggio che ha dominato i media.

Applaudito dalla stampa, cosa non facile, segna un punto a favore della Festa appena partita. Così come i film della sezione Alice in città. Penso a The Dazzle di Sarah Suco, francese, opera prima che racconta della dodicenne Camille. Lei adora il circo e fa parte di una famiglia numerosa. Entra in contatto con una comunità religiosa lontana dal suo stile di vita e lotta per affermare la propria indipendenza. Oppure, Maternal di Maura Delpero, argentina, che narra la convivenza fra giovanissime ragazze madri e le suore di un convento che le ospita. Sono squarci di vita sul mondo giovanile che piacciono alle scolaresche che vivacizzano il Parco della musica. Per una settimana lo fanno diventare la Città del Cinema.

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