È di moda vendere la moda

Una delle tendenze europee degli ultimi anni è vendere le società migliori a cinesi, arabi e russi che dispongono di grande liquidità
La collezione Valentino dell'inverno 2012

Mode d’estate? Vendere la moda italiana. Dopo Ferrè, Gucci e Cerruti è toccato alla maison Valentino. Uno dei gioielli della produzione italiana con il fatturato in aumento del 25 per cento, nonostante la crisi economica del 2012, è stato venduto per 700 milioni di euro alla sceicca Mozha, elegante sovrana del Qatar.  Pare fosse un suo vezzo e capriccio. Oltre che un affare.
Il gruppo Valentino ha chiuso il 2011 con un fatturato di 322 milioni di euro, e segna una crescita del 60 per cento del fatturato tra il 2009 e il 2012.

Il celebre marchio era già stato venduto nel 1998 alla casa tedesca Hdp e, poi, rilevato nel 2002 dal Gruppo Marzotto.
 
Del resto la moda, la cucina, le Ferrari, l’opera lirica sono i settori più stimati all’estero dove è riconosciuta l’abilità e la genialità artigianale e artistica del Belpaese.
La sua griffe, oggetto di desiderio per tutti i cultori della moda, è universalmente sinonimo di alta classe e creatività. Fondata nel 1960 da Valentino Garavani come boutique artigianale si distingue per la cura dei dettagli e la perfezione delle forme. La bellezza, infatti, non sta nell’assenza delle imperfezioni, ma nell’armonia che ogni corpo trasmette. Un vestito non di serie ma personalizzato e curato a seconda della donna che lo indossa.
 
L’arte del lavoro ben fatto ha portato la maison Valentino a una grande espansione commerciale con più di 1250 punti vendita in oltre 70 paesi. Cervello e cuore della società restano italiani sperando che anche la produzione non sia trasferita all’estero per i più bassi costi della manodopera. Sarebbe un altro colpo basso per un’Europa, dal 2007, sempre più in vendita a cinesi, russi e arabi.
La Cerruti, nel 2012, è stata acquistata dalla Trinity di Hong Kong, la Miss Sixty dalla cinese Trendy e nel 2001 la maison di Gianfranco Ferrè dal Paris Group di Dubai.
 
«Il mondo è ormai cambiato», sottolinea a L’Espresso Simone Alvaro, responsabile dell’ufficio studi giuridici della Consob: «I Paesi produttori di petrolio e di materie prime hanno conquistato dal 2007 un grande vantaggio economico. Bisogna cominciare a prendere atto dei cambiamenti. E non si può pensare che siano temporanei, soltanto dovuti alla crisi».

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