Due film da non perdere

In sala Belfast di Kennet Branagh, candidato a 7 premi Oscar e il nostro L’ombra del giorno di Giuseppe Piccioni. Film che fanno pensare.
Archivio Storico, Irlanda Belfast. Foto LaPresse

Amarcord, ovvero il ricordo del passato. Ma che dice molto sul presente, drammaticamente duro.

Branagh, a 61 anni, torna bambino nella sua Belfast dell’estate 1969 quando inizia la guerra tra protestanti e cattolici – vera guerra civile – che ha lasciato una eredità pesante sulla gente. Lui è Buddy, nove anni, innocente e gentile, gioioso e fantasioso, occhi limpidi, bravo a scuola, la prima cotta per una compagna, gli adorati nonni, il papà che lavora in Inghilterra, la mamma tenace e libera.

La guerra viene vista attraverso gli occhi spalancati, stupiti dell’innocenza che non capisce l’odio tra gente che prima si voleva bene, la distruzione, il dolore di dover lasciare la città, i nonni, gli amici. Il meraviglioso bianco-e-nero del film dice tutto questo senza retorica, con giusta sobrietà e con tocchi umoristici e scherzosi, che non guastano, come le scene con i nonni, gli stupendi attori Judi Dench e Ciaràn Hinds, tra piogge, cieli nuvolosi, strade dove si gioca, si vive e poi ci si uccide tra le minacce dei terroristi (Colin Morgan, l’ex Merlino della celebre saga Netflix).

C’è lo struggimento dell’infanzia perduta, dell’innocenza fuggita, e pure dell’ingenuità meravigliosa di un bambino di nove anni (dieci ne ha il protagonista, Jude Hill che si prende tutto lo schermo).

Branagh non celebra la guerra civile, ricorda e ci fa meditare sul nostro presente irrequieto, con malinconia sottesa: i bambini di sempre la guerra, qualsiasi guerra, non la capiscono.

È lo stupore dolente che aleggia nel film con la potente musica di Morrison, i primi piani, e la luce, il gioco parlante e musicale delle luci e del loro parlarsi e dire pensieri e parole. Questo è grande cinema. Ancora una volta.

Altri tempi, quelli della fine Anni Trenta in Italia, in una Ascoli bellissima. È Giuseppe Piccioni in uno dei suoi film più ispirati, unitari, profondi e lievi, L’Ombra del giorno.

Luciano (Riccardo Scamarcio) fascista passivo, zoppo per ferite di guerra, gestisce il ristorante sotto i portici della piazza centrale. Dalla finestra vede le ragazze fasciste volteggiare, i gerarchi come quello locale (Lino Musella, straordinario) entrare, discutere, glorificarsi. Lui è abulico, fa il suo mestiere. La vita passiva si rialza improvvisamente con l’arrivo di Anna, ragazza magra, nervosa, che porta vita nel locale e in Luciano: nasce l’amore, imprevisto. Ma siamo in tempi di leggi razziali ed Anna si svela come ebrea e costringe Luciano a nascondere il marito antifascista.

L’atmosfera nella piccola città cambia, i fascisti iniziano perquisizioni, interrogatori, arresti. Luciano è debole, smarrito, un suo cameriere lo vuol tradire. C’è violenza, dramma e l’annuncio dell’entrata in guerra da parte dell’Italia di Mussolini. Che farà la coppia, Luciano da che parte starà ora che è costretto a scegliere?

Piccioni racconta tutto questo con il suo stile umbratile, delicatissimo, in scene sobrie, misurate anche nella morte, con un pathos interiorizzato, emozioni fuggenti, sentimenti e la città bellissima. Poesia elegiaca di un periodo senza libertà, ricordata con sfumature commosse e autentiche, con una fotografia dolce e interpreti (Scamarcio, Porcaroli, Ceccarelli) giusti in un giallo politico che sa di attualità e fa molto pensare, quasi con l’aria di non volerlo fare. Vero cinema.

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