Dubbi e speranze sul futuro dell’Unione

Dialogo e confronto su immigrati e rifugiati nel primo giorno di lavoro dei partecipanti. E ora si passa alla sicurezza
Immigrati

Talvolta la storia è tanto bizzarra, quanto imprevedibile. Un esempio? Quando, un anno fa, il gruppo del Partito popolare europeo pensò di organizzare queste giornate di studio non aveva nemmeno l’idea di quel che sarebbe accaduto di lì a qualche mese: la “rivoluzione dei gelsomini”, le proteste dei giovani in Egitto, in Siria, le vicende drammatiche della Libia. Organizzare, poi,  questo evento in Sicilia, terra nel cuore del Mediterraneo, ma che oggi è al centro di un dibattito talvolta forte e virulento sullo stesso futuro dell’Europa, può mettere in fibrillazione l’aplomb di un gruppo del Parlamento europeo.

 

Sicuramente questi eventi, che hanno messo a soqquadro il Mediterraneo, non hanno permesso alle giornate di studio di seguire il loro classico ritmo tranquillo e distaccato. All’apertura dei lavori, infatti, si sentivano tutte le preoccupazioni e le difficoltà insieme al desiderio di ripensare la nostra Europa, di riscoprirne la vera vocazione.

 

La prima mattinata, quindi, è partita con i saluti di rito e gli auspici che queste giornate possano essere un contributo al dibattito odierno. Ma anche con dichiarazioni interessanti e sincere, come quelle del presidente del Parlamento europeo, Jerzi Buzek: «Abbiamo fatto di recente molti errori. Queste giornate ci possano aiutare a riflettere». Riflessioni che sono davvero necessarie e urgenti, per riscoprire il ruolo dell’Europa nella storia dell’umanità e in particolare nella regione del Mediterraneo. In buona sostanza bisogna decidere come affrontare queste tensioni: se si vuole rispondere ad un problema che ci pone la storia rielaborando anche l’idea di Europa o se si vuole difendere il nostro benessere.

 

Perché poi, alla resa dei conti, è questo il tema che provoca tensioni, paure, ripensamenti. Elementi, questi ultimi, tutti presenti all’interno della tavola rotonda dal titolo “Ricostruire un partenariato solido nel Mediterraneo: una risposta alla crisi nel mondo arabo e nel Nord Africa”.

 

Una tavola rotonda provocatoria, a tratti nervosa, ma interessante. Vero è che gli avvenimenti incalzanti e imprevedibili accaduti nel Mediterraneo, l’afflusso di migranti sulle nostre coste, il dibattito non sempre garbato tra i paesi membri, non davano spazio a filosofie o dichiarazioni di principio.

 

Il presidente di turno del Consiglio dell’Unione europea e primo ministro dell’Ungheria Viktor Orban lo dice infatti con chiarezza: «la crisi del Nord Africa è il vero problema di oggi, ma l’Ungheria ha cercato di mantenere una posizione serena a nome di tutta l’Europa». E bisogna dargliene atto, visto che la loro è l’unica ambasciata europea rimasta a Tripoli, sul suolo libico. Appunto, un avamposto dell’Europa in quella terra martoriata.

 

Ma sulla questione dell’immigrazione, Orban va giù duro, perché ricorda la differenza tra migranti economici e rifugiati politici. I secondi vanno sempre accolti, «ma per i migranti economici – dice Orban – non sono d’accordo che vadano accolti sempre e comunque, perché già nel nostro territorio europeo vi sono, ad esempio, le enclavi balcaniche e milioni di rom che aspettano ancora di essere integrati nel tessuto economico europeo».

 

Dibattito serrato, quindi, anche perché il problema lo abbiamo in casa, a Lampedusa, nella vicina Malta… Il primo ministro maltese Lawrence Gonzi, presente alla tavola rotonda, non nasconde le sue preoccupazioni, ma nel suo ragionamento si intravedono alcuni spunti di prospettiva se non di speranza quando, riflettendo sul momento che stanno vivendo l’Africa e il mondo arabo intuisce che noi europei potremmo fare qualcosa in questa fase di transizione politica di queste aree.

 

«Noi come europei – dice Gonzi – abbiamo una forte tradizione e molte esperienze sui diritti umani e sul loro rispetto. Queste esperienze e questi valori potremmo offrire loro come condivisione».

 

«Il problema non possono essere i 25 mila immigrati sbarcati a Lampedusa – dice Mario Mauro, presidente dei deputati Pdl al parlamento europeo – ma l’Europa deve dotarsi di una strategia politica unitaria per rispondere a queste sfide».

 

Giovedì si continuerà con un’altra tavola rotonda che tocca nervi scoperti: “Mediterraneo e sicurezza: il ruolo dell’Unione europea”.

Un’ultima notazione sulla scelta della Sicilia come luogo dove svolgere questi lavori. Vi si può leggere un valore  simbolico e profetico. In questa terra c’è Lampedusa, isola legata a doppio filo con la questione immigrazione ma anche paradigma concreto di una idea di Europa accogliente e aperta. Ma la Sicilia è anche la patria di don Luigi Sturzo, fondatore nel 1919, con il suo appello “Ai liberi e ai forti”, del Partito Popolare.

 

È una eredità che, ne sono certo, il gruppo del Partito popolare europeo vorrà e saprà portare nel dibattito politico di questi mesi.

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