Donne, fede e diplomazia

L'organizzazione per il dialogo "Religions for peace", guidata da Azza Karam, ha promosso la I Assemblea mondiale sul tema del ruolo delle donne come promotrici di un progresso integrale della società

Il ruolo delle donne come costruttrici di pace e strumenti di dialogo è emerso con forza nel corso della I Assemblea mondiale su questo tema, promossa da Religione per la Pace, l’organizzazione che nell’ultimo mezzo secolo è stata protagonista di dialogo e pace a livello planetario. Iniziata esattamente 50 anni fa grazie a un gruppo di leader religiosi – fra i quali il rev. Nikkyo Niwano, fondatore del movimento buddhista giapponese Rissho Kosei-kai, e di mons. Angelo Fernandes, arcivescovo di Delhi in India – Religions for Peace (inizialmente chiamata World Conference for Religions and Peace) ha avuto il merito di promuovere il dialogo interreligioso e interculturale in un periodo pionieristico, formando persone di diverse culture a questo impegno e aprendo una piattaforma che è stata fonte di ispirazione per decine di altre iniziative che sarebbero nate, poi, in diverse parti del mondo nei decenni successivi.

 

Dal gennaio di quest’anno Religions for Peace, che ha una solida presenza anche in Italia (https://religioniperlapaceitalia.org/), è guidata, come segretario generale, da un donna, la dott.ssa Azza Karam, di origini egiziane, ma di cittadinanza olandese, e di fede musulmana. La leadership femminile, che ha segnato in modo significativo il traguardo del mezzo secolo, ha subito messo in cantiere l’assemblea che si è svolta in questi giorni a Lindau, in Germania, quasi completamente in modalità virtuale e dal titolo senza dubbio stimolante: Donne, fede e diplomazia. Molti i temi chiave toccati: fede, diplomazia, diritti umani e delle donne, in modo specifico, aspetti del clima. Ma quello che, forse, ha suscitato il maggiore interesse fra i quasi mille partecipanti all’evento, è stato l’aspetto educativo che vede nella donna la protagonista principe, sia come madre che come maestra di vita e di umanità.

 

 

Significativa la partecipazione, in sede di inaugurazione, della cancelliera tedesca Angela Merkel, che come donna e come statista – fra l’altro non si deve dimenticare che la primo ministro tedesco è figlia di un pastore luterano – ha sottolineato che «troppo spesso si trascura ciò che riescono a fare le donne per la convivenza pacifica». La Merkel ha fatto anche riferimento a coloro che ogni anno vengono proclamati vincitori del Premio Nobel per la Pace. Si tratta di persone che costituiscono «modelli di comportamento che ispirano molti altri con il loro coraggio». Purtroppo, ha sottolineato la cancelliera, sui 135 premiati finora, solo 17 sono state donne. E ha concluso che «senza dubbio, ci sono molte più donne che avrebbero meritato un premio per il loro lavoro di costruzione della pace». Ma anche il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, non ha temuto di riconoscere che «senza la piena partecipazione e leadership delle donne, il dialogo interreligioso è incompleto e la pace è meno sostenibile».

I temi toccati in questi giorni hanno tutti visto il ruolo della donna come centrale e decisivo, a cominciare dalla lotta contro il discorso d’odio, per continuare, come accennato, all’aspetto educativo e alla protezione ambientale. Per questo è assolutamente prioritario lavorare a una vera e reale uguaglianza di genere.

 

Varie le iniziative presentate in questi giorni che hanno visto il ruolo femminile come motore ispiratore e realizzatore. Le donne, infatti, sono in prima linea nella crisi umanitaria provocata dal Covid, ma lo sono state anche sui fronti di guerra come, in passato, in Bosnia, Irlanda, Camerun, e, in tempi più vicini  a noi, nella tragedia del genocidio yazida ed ebraico. Mary McAleese, ex presidente dell’Irlanda, ha presentato la sua esperienza di fronte alla necessità di dover ricostruire un Paese dopo una guerra civile maturata all’interno di una stessa fede. Building bridges è stato il suo slogan, mentre cercava di non lasciarsi sopraffare dalla violenza armata e di non perdere la fede. «Il processo di pace maturato in Irlanda è stata un’opportunità per redimere il cristianesimo dopo il suo fallimento durante il conflitto armato».

Düzen Tekkal, giornalista e attivista tedesca di origine curdo-yazida, ha affermato che le donne con la loro fede e  la loro forza interiore sono diventate modelli anche nella lotta al terrorismo islamista, come prova la storia di  Nadia Murad. «I nemici delle donne in Iraq e Siria sono gli stessi nemici che affrontiamo in Europa – ha detto la Tekkal –. Ignorano i diritti umani e discriminano anche all’interno della loro stessa fede. Solo la cooperazione interreligiosa può superare il terrore e la violenza perpetrati in nome della religione».

Mediatore di pace nel conflitto somaloJama Egal, ha confessato che la fede l’ha sostenuto durante sfide che sembravano impossibili, mentre vedeva «la religione manipolata e strumentalizzata per scopi egoistici».  Emina Frljak, musulmana della Bosnia ha condiviso la sua sofferenza per il macigno del pregiudizio legato al terrorismo di matrice islamica che nelle scorse settimane ha insanguinato nuovamente l’Europa. «Io non posso prendermi le colpe di chi commette questi delitti monopolizzando il senso della fede. Nel mio paese, cristiani e musulmani, siamo tornati a vivere non uno accanto all’altro, ma uno con l’altro, superando tutta quella narrativa di divisione che ci ha resi nemici». Altrettanto stimolanti le storie presentate in altri ambiti, come quello educativo e quello climatico, dove le donne da sempre sono in prima linea.

Azza Karam, come accennato, nuovo segretario generale di Religions for Peace, ha invitato tutte le fedi ad unire risorse finanziare e umane per rispondere al Covid-19 e assicurare una coesione sociale duratura. “Le comunità religiose sono sempre le prime a rispondere ai disastri e alle tragedie, anche stavolta. La sfida è farlo insieme, magari usando il Fondo umanitario multireligioso, istituito proprio per rafforzare progetti e iniziative ideate e condotte da comunità appartenenti a differenti religioni”.

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