Divisi verso il referendum. Appello per un voto consapevole

Solo un elettore su quattro dichiara di votare basandosi sul contenuto. Per gli altri conta la simpatia o antipatia verso i politici. Non solo Renzi. È il clima peggiore con cui votare sulla Carta fondamentale. Un invito a decidere in maniera ragionata e informata
referendum

“Sfida aberrante” ha definito Giorgio Napolitano la campagna elettorale referendaria e in effetti di aberrazione si tratta. Guardiamo all’ultimo sondaggio (Demos&Pi e Demetra, 18 novembre 2016) che non si è limitato alla domanda secca sul Si o No alla riforma costituzionale, ma ne ha voluto indagare la motivazione. Alla domanda “Secondo lei gli italiani che andranno a votare al referendum voteranno soprattutto per …” le risposte sono state: per riformare o mantenere la Costituzione il 25%, a favore o contro Renzi e il suo governo il 62%, mentre il restante 13% non sa o non risponde.

 

Solo un quarto degli elettori pare quindi entrare nel merito della riforma, prendendo in mano le modifiche e ponderandone gli effetti. È un dato che va valutato molto negativamente, giacché l’oggetto della chiamata alle urne è quanto di più importante per una comunità politica, la Costituzione.

 

Purtroppo però è un dato che ci appare confermato anche dall’esperienza spicciola e magari anche da un sincero atto di onestà intellettuale che possiamo compiere in prima persona. Non è forse vero che, intraprendendo uno scambio di vedute sul referendum con un amico, un collega, in famiglia, dopo le prime battute si scivoli subito su Renzi, Salvini, Grillo, i mercati, Trump, le banche, lo spread e via elencando?

 

Se pensiamo che questo voto viene paragonato a quello del 1946 su monarchia o repubblica, c’è da inorridire al pensiero dei nostri padri che andavano a compiere cotanta scelta con in testa la simpatia o l’antipatia per De Gasperi e Togliatti e non il merito della questione.

 

Probabilmente l’accettazione del risultato di quel referendum passa anche per noi, oggi, dalla serietà e dalla grande partecipazione con cui il Paese visse quell’appuntamento storico. Oggi rischiamo, comunque vada, di pagare un prezzo alto all’aberrazione e ce ne accorgeremmo dopo il voto.

 

Se riteniamo che la riforma sia giusta e dovesse vincere il No perché il Presidente del Consiglio suscita antipatie, il rammarico sarebbe enorme. E se riteniamo sbagliata la riforma, una vittoria del Si sull’onda della paura dello spread o dell’arrivo di Salvini e Grillo, aggiungerebbe all’angoscia di un quadro costituzionale che giudichiamo errato, quella di un pericoloso precedente che si potrebbe ripetere: una maggioranza che approva leggi costituzionali e poi le porta alla ratifica dei cittadini adducendo paure estranee al loro contenuto.

 

Dietro questo atteggiamento di fondo, che sposta l’oggetto del voto su qualcos’altro capace di accendere gli animi degli elettori, bisogna leggere una forma magari inconsapevole di populismo, che parte da noi stessi. Rifiutiamolo con decisione. Insomma, cerchiamo di stare seriamente e serenamente ancorati all’oggetto del referendum, possibilmente non limitandoci neppure al quesito, necessariamente troppo riassuntivo.

 

È vero che non è facile addentrarsi fino ai dettagli della corposa riforma (anche se va fatto, ogniqualvolta si può); in molti casi è necessaria una scorciatoia, ma essa deve condurre alla meta, non depistare il cammino. Se i dibattiti televisivi, il materiale reperibile in internet o i quotidiani non riescono a farci cogliere il cuore della questione, un sistema sempre efficace è quello di rivolgersi a una persona informata e di cui ci fidiamo.

 

Rifiutiamo però le mistificazioni ed evitiamo di porre le fondamenta di un voto che potrebbe pesare sul futuro del Paese al di là di quello che ci appare.

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