Distorcere divide. Basta risse

Il Paese non ha bisogno di richiami alle armi contro l’orda barbarica di turno. Ha bisogno di richiami all’unità, di sincera lotta contro ogni forma di intolleranza e di razzismo, che non vede mai l’altro come un nemico

Sono giorni infuocati nel dibattito pubblico italiano e non solo per il caldo afoso che sta colpendo tutto la penisola. Da mesi assistiamo attoniti ad una propaganda elettorale che sembra non aver mai fine e che è portata avanti anche dal governo. Va rimarcato subito: non è una novità. Il perenne clima di scontro politico, purtroppo, è un’aria che si respira da tutta la seconda repubblica. E dove ci ha portato? Ad un paese sempre più frammentato e diviso.

Italia razzista?
Non solo. Nelle ultime settimane si è acceso un dibattito serrato sull’atmosfera culturale nel nostro paese: l’Italia è razzista? Fior di intellettuali si sfidano a colpi di post per argomentare più o meno solidamente la loro posizione. La cronaca, dalle radio alle tv, dai quotidiani ai link, parla di un’emergenza razzismo e si moltiplicano le notizie, più o meno confuse, di aggressioni che vengono tacciate xenofobiche. A volte queste interpretazioni si dimostrano non del tutto corrette, come l’ultimo caso dall’atleta italiana a Torino. Resta ancora da chiarire la matrice del folle gesto; ma subito giornali, opinione pubblica e, ahimé, intellettuali, si sono affrettati, più che preoccuparsi per le condizioni della ragazza e ascoltarla attentamente, a usare l’episodio per una bassa polemica partitica.

Non so se in Italia ci sia un’emergenza razzismo, sinceramente, dalla mia piccolissima finestra sul mondo, penso di no. Ci sono casi di intolleranza reciproca, di divisione e frammentazione, come ha ricordato il presidente Mattarella qualche giorno fa; ma non penso che categorizzare questa divisione e intolleranza come xenofobiche, ci aiuti seriamente ad affrontare e quindi risolvere il problema. La divisione sta a un livello, purtroppo, più profondo; si riflette nella nostra partigianeria spicciola che porta a vedere chi la pensa diversamente come un nemico; nella nostra affannosa ricerca di categorizzare l’altro con le varie formule “populista”, “razzista”, “lobbista”, senza ascoltarlo veramente; nel nostro interessarci non della verità, ma della vittoria di ciò che sventoliamo pubblicamente.

L’humus del razzismo
C’è un soffiare sul fuoco e una distorsione politica delle notizie, operata anche in buona fede (contro l’orda barbarica dei razzismi o contro le lobby finanziarie, a seconda delle intenzioni di chi opera la distorsione) che rappresentano un’irresponsabilità da non sottovalutare. Distorcere informazioni per polemizzare contro un esponente politico è l’anticamera della propaganda di stato. Questi atteggiamenti favoriscono l’ignoranza, il sentito dire, la volontà di non fare fatica per credere di sapere tutto sull’altro e non approfondire; questo è il vero humus del razzismo che, a mio avviso, molto più che verso lo straniero, spesso colpisce chi la pensa in modo diverso.

Ostilità preconcetta
Come si arriva a questo? Spesso attraverso, appunto, la distorsione la quale, come frutto, porta sempre con sé la divisione. Ridurre il reale e deformarlo a seconda di una opinione che si vuole affermare sopra le altre, porta sempre a ritrovarci più polemici e divisi gli uni nei confronti degli altri. Ecco il vero pericolo, segnalato dal capo dello Stato, spesso citato frettolosamente, meno spesso davvero ascoltato: «L’abbondanza informativa, offerta dal web, è preziosa ma occorre evitare che, con essa, si riduca il livello dell’approfondimento e la capacità di stimolare riflessioni. Insomma, evitare che ne derivi una forma di povertà critica o rifiuto del confronto con le altrui opinioni. […] Vi appaiono segni astiosi, toni da rissa, che rischiano di seminare, nella società, i bacilli della divisione, del pregiudizio, della partigianeria, dell’ostilità preconcetta che puntano a sottoporre i nostri concittadini a tensione continua. Sta a chi opera nelle istituzioni politiche – ma anche a chi opera nel giornalismo – non farsi contagiare da questo virus, ma contrastarlo, farne percepire, a tutti i cittadini, il grave danno che ne deriva per la convivenza e per ciascuno».

La radicale utopia dell’apertura all’altro
Che significa tutto questo? Che c’è sempre spazio per un’idea diversa dalla mia, e che proprio il confronto con l’altro, sincero, onesto, per amore dell’altro e della verità (anche nel dibattito pubblico e in politica si può!) può portare la mia idea ad approfondirsi, qualche volta a cambiare, in ogni caso a ridurne la potenzialità divisiva contro l’altro, anche quando questo si chiama Salvini.

Per questo trovo quanto mai irresponsabili non solo qualche post del ministro dell’Interno, ma anche copertine che lo dichiarano satana o titoli di giornale che ne deformano il pensiero per aizzare allo scontro pubblico. Che tristezza (e che pericolo!) vedere una grande personalità come Gino Strada scrivere un post in cui richiama esplicitamente alla divisione e accusa di razzi-fascismo il governo. No, così non ne può venire nulla di buono. E non illudiamoci: questi semi di divisione, se non stiamo attenti, fioriranno in zizzania pubblica di cui soffriremo tutti, specie le future generazioni.

Basta
Basta con l’anti-berlusconismo, l’anti-salvinismo, l’anti-finanziarizzazione, l’anti-cinquestelle, l’anti-pd. Questo modo di portare avanti il dibattito pubblico non ci ha portato da nessuna parte, ormai dovremmo averlo imparato. Il Paese non ha bisogno di richiami alle armi contro l’orda barbarica di turno. Ha bisogno di richiami all’unità, di sincera lotta contro ogni forma di intolleranza e di razzismo, che non vede mai l’altro come un nemico, semmai idee da combattere per amore della verità e del prossimo. Utopia?

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