Dio ha pietà di tutti

Esistono funerali di serie A e di serie B? Si distingue tra vittima e carnefice? Don Tonino Gandolfo risponde ad una lettrice.
funerale

«Abito in una cittadina del Nord. In un paese vicino al mio, poche settimane fa, un ragazzo di trent’anni ha ucciso l’ex ragazza di sedici e si è a sua volta tolto la vita. Non c’è dubbio, due sono le vittime. Da persone che hanno partecipato ad entrambi i riti funebri, ho saputo che per la ragazza il rito è stato “normale”, per il ragazzo no. È stata fatta una cerimonia “ridotta” senza eucarestia né scambio della pace. Io non conosco le regole della Chiesa e mi chiedo se questa possa essere stata un’indicazione “dall’alto” o una scelta del sacerdote. Comunque sia, mi indigna e addolora perché quel ragazzo andava e va amato ancora di più. Quale messaggio è stato dato? Quello della discriminazione e del giudizio, non della Carità e compassione. Cosa avrà provato la famiglia? Se i nostri giovani sono così tragicamente fragili, non ne siamo tutti un po’ responsabili?»

 Lettera firmata

 

 

Risponde don Tonino Gandolfo:

 

«Quanto alla domanda e al dubbio, distinguerei due aspetti. Dal punto di vista strettamente liturgico, è previsto che la sepoltura possa svolgersi con la Celebrazione eucaristica o con la proclamazione della Parola, senza l’eucaristia. Questa seconda modalità si sta diffondendo, sia per la situazione di indifferenza o di non praticanza che va caratterizzando sempre più anche coloro che formalmente si dichiarano credenti, sia come scelta in situazioni di carenza dei sacerdoti o di sovraccarico di lavoro. Nella zona della Città in cui ero parroco, ad esempio, pur caratterizzata da una partecipazione ancora radicata, eravamo giunti alla determinazione di non dare per scontata la Celebrazione eucaristica, ma di farla richiedere in modo esplicito dai familiari del defunto. Nel caso da lei citato, occorrerebbe accertare se la scelta è stata “imposta” oppure è frutto di una richiesta dei familiari. (Certo, e questo lo dico tra parentesi, se ci fosse una fede viva nella “risurrezione”, là dove tutti i limiti e i drammi umani trovano soluzione, non sarebbe per nulla scandaloso, anche se doloroso, celebrare insieme la sepoltura della vittima e dell’aggressore: sarebbe vero segno che il messaggio di Gesù morto e risorto rompe tutti gli schemi e i criteri puramente umani! O forse questo è solo un “sogno” mio?).

 

Dal punto di vista “umano”, non solo della compassione, ma dell’attenzione radicale alla persona umana, concordo con lei sulla non-congruenza della scelta (sempre tenendo presente ciò che ho detto sopra). La celebrazione può essere condotta in modo da far distinguere tra il rifiuto del male e l’accoglienza della persona, che è sempre più grande del male che ha commesso. Tanto più che noi non sappiamo ciò che avviene in quel “passaggio” che chiamiamo morte, in qualunque modo avvenga: quale sia, cioè, il rapporto che si instaura tra la persona e il Padre. Non tocca a noi “giudicare” in partenza su ciò che avviene dopo la morte: a noi spetta solo riconoscere il male come tale, renderci capaci di non lasciarcene avvolgere e riconoscere che c’è una “misericordia” per la quale nulla è imperdonabile, non perché giustifica o non tiene conto del male, ma perché vede nella persona-figlio di Dio una potenzialità di bene che nulla può mai completamente cancellare».

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