Dialogo e lavoro come antidoto alla violenza

Sìmon è nato il 26 maggio 1962 in Corea del Sud, terzo di 4 fratelli. La sua era una famiglia aconfessionale e corrente, il papà faceva l’elettricista e la mamma la casalinga. A Sìmon piaceva studiare, e i suoi sforzi si riflettevano negli eccellenti risultati dei suoi esami. Così, alla fine del liceo ha deciso di immatricolarsi alla facoltà di Legge all’università.
Era il periodo del regime militare di Chun Doo-hwan, che negli anni ’80 aveva represso brutalmente le proteste dei cittadini, e poi era diventato presidente della nazione. C’erano state anche tante proteste studentesche, alle quali Sìmon ha partecipato, finendo per essere arrestato ed imprigionato.
Questa esperienza, lontano da fermarlo, l’ha spinto ad aderire al Movimento Operaio, con il quale impartiva dei corsi serali per insegnare ai lavoratori come lottare per i propri diritti. È stato grazie a questa esperienza che la sua vita ha preso un’altra direzione: in uno di quei corsi ha conosciuto Maria, con la quale si è sposato nel 1992, all’età di 30 anni.

«Col matrimonio ho deciso di cambiare approccio alla vita – racconta Sìmon –. Ho iniziato a formarmi riguardo all’utilizzo di tecnologie produttive, incoraggiando i miei compagni a migliorare l’impegno e le competenze attraverso il lavoro, piuttosto che con i conflitti».
Sìmon entra a lavorare in un’azienda automobilistica, e il processo migliora grazie al suo metodo, ma nonostante ciò l’impresa va in bancarotta 5 anni dopo. «Nel cercare di salvare l’azienda ho dato il mio massimo – afferma –, ma alla fine mi trovai anch’io con la batteria scarica. Ho avuto paura, la mia gola era secca, avevo sete di vita, ma dove bere?». Da questa esperienza, Sìmon inizia una ricerca spirituale che lo porta ad avvicinarsi al buddhismo, all’induismo, all’islam e ad altre religioni, principalmente attraverso i libri.
Nel 2001, avvertendo la necessità di una ricarica interiore, Sìmon intraprende un viaggio insieme alla sua famiglia che lo porta in vari Paesi: Nepal, India, Pakistan, Iran, Turchia, Grecia e, alla fine, Italia. Arrivano ad una piccola frazione toscana chiamata Loppiano, di cui Maria aveva sentito parlare, e vi rimangono, attirati dall’incanto della natura: «Ricordo la prima mattina quando aprii la finestra: l’aria pura, le belle colline, la premura di lasciare dei fiori di campo sul tavolo per noi e del gelato in frigo per nostra bambina», ricorda Sìmon.
Con stupore inizia ad interrogarsi sull’esperienza così unica che sente di star vivendo: «Ma dove sono arrivato? In paradiso? – racconta Sìmon –. Pregando chiedevamo insieme qualcosa in casa mia e avevamo risposte immediate». Scopre una cittadella internazionale, con persone provenienti da tutto il mondo che si impegnano a vivere il Vangelo di Gesù nella loro quotidianità, e si accende in lui la scintilla della fede.
Rientrato in Corea, Sìmon cerca di vivere quello spirito nuovo che ha conosciuto in tutti gli ambienti: al lavoro, in altri ambiti sociali e specialmente in casa, dove prima si arrabbiava con molta più facilità. Nel 2004 chiede di essere battezzato.
Nell’ambito lavorativo, a causa di una ristrutturazione aziendale rimane inoperativo per 6 anni, un tempo che impiega nella ricerca su tecnologie emergenti: energia a idrogeno, cyber sicurezza e intelligenza artificiale. Questi studi gli aprono una nuova strada, già che gli arrivano 4 progetti governativi correlati alla sua ricerca.
Successivamente, Sìmon avvia il progetto “Villaggio Felice”, che mira ad aiutare disertori nord coreani e immigrati arrivati in Corea del Sud. Da 4 anni svolge il workshop “Dialogo politico positivo”, ispirato dalla spiritualità dell’unità di Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari. «Sono incontri per aiutare persone con idee politicamente diverse a dialogare amichevolmente – spiega –. Finora, abbiamo tenuto 22 workshop e abbiamo visto notevoli cambiamenti nelle persone che vi hanno partecipato».
Al lavoro a Loppiano incontra un giovane cresciuto tra i bombardamenti e i drammi della guerra. Ha studiato Psicologia per superare il trauma vissuto e, a un certo punto, vuole conoscere di più sul percorso spirituale che Sìmon ha fatto. Gli chiede perché è diventato cristiano e Sìmon prima gli parla dell’esperienza con “Dialogo politico positivo”, e poi aggiunge: «Essere cristiano mi aiuta a migliorare personalmente, e a migliorare il mondo intorno a me, poco a poco, attraverso piccoli cambiamenti sul lavoro e nel quotidiano».
«Sono arrivato a capire che il cristiano è come un monaco senza abito, e i campanelli della fabbrica e i tavoli di lavoro sono i suoi strumenti per servire Dio – conclude Sìmon –. La vocazione cristiana è meravigliosa, per questo ho chiesto il battesimo, con essa ha un senso la vita in questo mondo: servire gli altri, amarli senza distinzioni. Essere cristiano per me significa fare ogni giorno magari piccoli ma significativi atti di amore per le persone che incontro, con cui trasformare la società. Essere cristiano per me significa essere in missione».
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